Politica e preghiera

Se si prova a seguire la proposta dei media, ci si accorge di un fatto: quasi tutto il discorso pubblico gira attorno all’economia.

Nulla di strano, si dirà. I problemi legati alla crisi, alla produzione, alla finanza, sono urgenti e gravi. Pertanto è necessario mettere in essere strategie di ripresa. Siamo d’accordo, anche se lo scarso dibattito sulle scelte da fare, ritenute «le uniche possibili», rende il tutto un po’ tedioso.

la noia locale

Le difficoltà, ovviamente, si sentono anche nel panorama locale. Con le elezioni amministrative alle porte, anche la politica di casa nostra cerca di fare discorsi seri. Ovviamente non mancano i casi in cui ancora ci si accalora attorno a certi vizi pubblici o a interessi di parte. Ma c’è in ballo il posto da sindaco e tutti cercano di darsi un tono. Così, chi vuole essere protagonista della vita cittadina ragiona su un intreccio di temi che hanno il loro denominatore comune nel cosiddetto «rilancio del territorio».

Di solito si tratta di proposte e analisi ripetute fino alla nausea. Fa una certa impressione constatare come l’indirizzo esplicito delle opposte forze in campo finisca per essere coerente e solidale. I punti fondanti dei programmi, dal dinamico movimentismo civico al più ingessato dei partiti, sono più o meno sempre gli stessi: potenziamento del turismo, aiuti alle imprese, trasparenza amministrativa, economia “verde”. Una noiosa invarianza di approcci diventati a tal punto luoghi comuni che si fatica a prendere sul serio le parole e chi le pronuncia.

l’oblio dello spirito

Intanto, con tutta l’attenzione diretta a quello che c’è da fare, all’impegno per la costruzione della città, alla difesa e alla diffusione del benessere, ci si dimentica di quelle cose che non hanno un nesso immediato con la produzione, con l’economia, con il lavoro.

La religione, l’arte e la cultura entrano nel dibattito politico solo quando risultano adatti alla «promozione del territorio», al «ritorno turistico» o a «creare posti di lavoro».

A sentire chi ha voce, presi per se stessi i fatti dello spirito parrebbero non contare nulla. Le forze politiche, sindacali e sociali, ormai sono incapaci di chiavi di lettura lontane da un certo economicismo. Se c’è un ritorno in liquidità non è un male, intendiamoci. Bisogna pur sempre arrangiar quattrini per poter campare. Ma se i denari servono solo a “far girare l’economia”, ogni sforzo si risolve in un girotondo inconcludente.

Pensare che alla crescita materiale si debba accompagnare una crescita spirituale, nel nostro tempo ha il sapore della velleità. A dirlo ci si sente quasi ridicoli. La politica, fino a pochi anni fa, aveva ancora nel cuore la volontà di produrre una società migliore, più felice, più umana. L’economia, la scienza e la tecnica erano pensate come strumenti per liberare le energie migliori dell’uomo.

Il pensiero politico di oggi invece, pare interessato solamente a rendere maggiormente efficiente l’economia e gli scambi. Non a caso i consumi hanno preso il posto della felicità e della gioia, il mercato è considerato l’alfa e l’omega di ogni questione e l’uomo è finito con il risultare asservito alla tecnica più che esserne liberato.

l’utilità della preghiera

La necessità di trovare soluzioni ai problemi dei redditi, dell’occupazione, delle pensioni è sotto gli occhi di tutti. Sono temi che nel panorama locale si fanno anche più pressanti che altrove e in tanti si trovano in gravi difficoltà. Ma proprio per questo è salutare ricordare che l’economia non è una legge suprema e che le direzioni prese dal mondo non sono una condanna inevitabile.

Più che dispensatori di tattiche per inseguire il mercato, nel dibattito pubblico ci piacerebbe ascoltare qualcuno che provi a guardare alle cose dal punto di vista dello spirito. Più che inseguire la competitività sarebbe utile provare a stabilire un ordine tra mezzi e scopi – tra mercato e uomini – maggiormente aderente ai reali bisogni delle persone.

Si avverte il bisogno di un ritorno alle radici assai diverso dalla vuota conservazione di tradizioni morte e sepolte a cui pensano in tanti, magari per fare un po’ di cassa. Si possono tracciare strade nuove se si prova una ricerca in profondità.

Se è vero come si dice che la crisi economica si fonda su una più profonda crisi di valori, la preghiera non può che essere utile. Non certo perché dobbiamo chiedere e attendere le soluzioni dal Cielo. Si tratta semmai di rivolgere lo sguardo all’interno di sé, di esercitare la riflessione profonda per acquisire una rinnovata comprensione del mondo.

Abbiamo perso l’abitudine alla dimensione contemplativa, alla pausa, al silenzio. Abbiamo smarrito il gusto per il pensiero e con questo la capacità di fare buona politica. Divenuti superficiali, abbiamo preferito farci guidare dalla tecnica invece di guidarla.

Ecco perché forse, per uscire dalla crisi, bisogna ricominciare a guardare ai bisogni dell’anima. Proviamo a cogliere quegli spunti vitali che il cardinale Martini ha poeticamente chiamato «le impennate del cuore». Potrebbe sembrare una strategia modesta rispetto alla misura dei problemi che ci troviamo ad affrontare. Ma senza uno sforzo di consapevolezza sarà difficile riuscire a rovesciare le logiche da cui siamo permeati, gli schemi attraverso cui finiamo per essere dominati proprio da ciò che dovrebbe servirci.

Ovviamente si può continuare a fare politica senza rivolgersi alla cultura, all’arte, alla filosofia, alla teologia. Si può continuare ad ignorare del tutto la dimensione contemplativa della vita e puntare su primarie e controprimarie. Ma è facile prevedere che di buona politica si continuerà a vederne poca, a destra come a sinistra.