Pietà popolare? Parola d’ordine: evangelizzare!

Agostino Superbo (Basilicata): un’azione concreta per correggere ”storture e deviazioni” riguarda i comitati festa, di cui gli stessi parroci devono esserne ”responsabili”. Dai vescovi di Calabria già adottati ”opportuni antidoti alle infiltrazioni criminali nelle genuine forme della devozione e pietà popolare”. Antonio Di Donna (Campania): ”Legare le feste ad atti di carità e solidarietà”.

Le feste religiose popolari nel Mezzogiorno: patrimonio di fede o fenomeno “deviante”? I fatti di cronaca delle ultime settimane ripropongono in tutta la sua attualità una questione ben presente nel “cuore” delle Chiese meridionali. Dal Concilio Vaticano II ad oggi, numerosi sono stati gli interventi delle Conferenze episcopali del Meridione su uno degli aspetti della “pietà popolare”: le feste religiose. Ultimo, in ordine di tempo, quello dei vescovi calabresi dopo gli eventi che hanno segnato le diocesi di Oppido-Palmi e Mileto-Nicotera-Tropea, con supposte commistioni tra fede e ‘ndrangheta. L’obiettivo è condiviso: evangelizzare la pietà popolare perché – come insegna Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n.126) – le sue “espressioni hanno molto da insegnarci”. In che modo? E con quali azioni concrete, soprattutto per le feste? Ecco, Regione per Regione, le riflessioni dei vescovi.

Basilicata.

“La pietà popolare – afferma monsignor Agostino Superbo, arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo e presidente della Conferenza episcopale della Basilicata – è un tesoro da non disperdere”. Il “nostro impegno” deve “essere orientato verso l’evangelizzazione, secondo quelle caratteristiche che elenca Papa Francesco al n. 24 della Evangelii Gaudium: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare”. In questo senso, “la pietà popolare è espressione di una comunità che sa fruttificare e fare festa”. Per quanto riguarda le feste, spiega Superbo, “le più note in Basilicata sono tre: la Madonna della Bruna, a Matera; san Rocco, a Tolve (diocesi di Acerenza); la Madonna del Monte di Viggiano, patrona della Lucania (diocesi di Potenza). Senza dimenticare la forte devozione a san Gerardo Maiella, un santo giovane venerato in tutto il Meridione: la casa natale, la bottega di sarto, i ricordi della prima giovinezza e dei primi miracoli sono a Muro Lucano. Comunque sia, “ogni paese ha le sue feste e le sue devozioni” che, “dopo più di un secolo, sono molto forti anche nelle comunità dei nostri emigranti nelle Americhe e in Australia”. Un’azione concreta per correggere “storture e deviazioni”, secondo l’arcivescovo, riguarda i Comitati festa: gli stessi parroci devono esserne “responsabili”. Tutti questi temi “sono stati affrontati seriamente con studi scientifici dai vescovi lucani negli anni Ottanta-Novanta”.

Calabria.

La Conferenza episcopale calabra (Cec) è ritornata di recente a riflettere su “tutte le espressioni della pietà popolare”. Nella sessione straordinaria, tenuta il 17 luglio su “alcuni temi pastorali di particolare urgenza”, è stato sottolineato – riferisce il comunicato stampa diffuso al termine della riunione – che “i vescovi della Regione sono determinati a darsi e a seguire criteri pastorali comuni, a partire dalla convinzione che la tradizione popolare è un tesoro da custodire e valorizzare come una genuina manifestazione di fede. Eventuali incrostazioni e deviazioni, rischierebbero, se non rimosse di minarne l’autenticità”. Le diocesi della Calabria, informa la Cec, “hanno già discusso nei loro Sinodi, ovvero hanno inserito nei Piani pastorali, gli opportuni antidoti alle infiltrazioni criminali nelle genuine forme della devozione e pietà popolare. Bisogna applicarli con tenacia, fin dal primo momento dell’adesione di fedeli a confraternite e organizzazioni di processioni popolari”.

Campania.

Il problema delle feste popolari è stato affrontato, lo scorso anno, dalla Conferenza episcopale campana (Cec) con un apposito documento dal titolo “Evangelizzare la pietà popolare. Norme per le feste popolari”. Questo testo, puntualizza monsignor Antonio Di Donna, vescovo di Acerra e segretario della Cec, “è solo l’ultimo di una serie d’interventi sul tema”. A distanza di un anno, prosegue Di Donna, “mi risulta che diverse diocesi hanno intrapreso iniziative, attraverso il confronto con i sacerdoti e soprattutto con i comitati organizzatori, per veicolare al meglio le indicazioni” del documento. Certo, afferma il vescovo, “stiamo parlando di un tema che non si può affrontare in un mese o in un anno. È questione di secoli, e sono in gioco valori di grande importanza come la fede della gente e la stessa pietà popolare”. Comunque sia, “qualche abuso è rientrato”. Ad esempio, “nella diocesi di Sorrento-Castellammare, il nuovo vescovo monsignor Francesco Alfano è riuscito, d’intesa con l’amministrazione comunale, a risolvere alcuni problemi che si verificavano durante la processione del patrono di Castellammare di Stabia, san Catello”. Monsignor Di Donna non ha dubbi sulla valorizzazione della pietà popolare, “anche se non è facile perché ancora ci sono tanti condizionamenti”. Per risolvere questi problemi, suggerisce il segretario Cec, “la prima azione concreta è la catechesi continua, laddove siano disponibili, di coloro che fanno parte dei Comitati organizzatori delle feste. La seconda azione è far sì che i Consigli pastorali parrocchiali siano di fatto i Comitati organizzatori”. Infine, “legare le feste ad atti di carità e solidarietà, soprattutto da un punto vista economico. Tale collegamento impedirebbe preventivamente eventuali strumentalizzazioni”.