«Ho iniziato facendo uno stage allo sportello gestito dalla Comunità Emmanuel in partenariato con il Comune per il contrasto del gioco d’azzardo patologico, in affiancamento alla dott.ssa Antonelli. Poi io e la dott.ssa Barbara Mazzetti abbiamo avuto l’occasione di partecipare a due gruppi che si tengono alla comunità, la scuola genitori e un gruppo espressivo».
È con la dott.ssa Federica Chiaia che riprendono i nostri incontri con gli operatori della Comunità Emmanuel. Un’indagine che ci sta portando a comprendere la realtà delle dipendenze patologhiche. Un discorso che con Federica abbiamo approfondito attraverso il suo impatto con la realtà dei ragazzi tossicodipendenti grazie agli studi fatti e all’esperienza personale. Proprio a partire dai due gruppi nei quali opera: «La scuola genitori – spiega Federica – è un gruppo pedagogico tenuto dalla dott.ssa Cugia. È uno dei pochi a cui partecipano sia i ragazzi che le famiglie. In realtà è per le famiglie, ma dà ai ragazzi la possibilità di confrontarsi ed esprimersi parlando con familiari di altri, riuscendo ad avere un ritorno. È un confronto più ampio. Non sono obbligati a intervenire, se vogliono possono. Nel gruppo espressivo, tenuto dalla dott.ssa Antonelli, non c’è un argomento fisso, ma è basato sugli stati d’animo e i vissuti espressi dai ragazzi stessi. Su quello si lavora a livello emotivo, analizzandone ad esempio le risonanze nella vita».
Com’è stato il primo impatto con i gruppi?
È stato un impatto forte. L’idea di lavorare in questo ambito mi aveva sfiorato anche in passato e l’impatto con il primo gruppo è stato la conferma che era l’ambito che avrei voluto sviluppare. È bello, è impegnativo, ma per me è stato molto soddisfacente il ritorno che ne ho avuto a livello personale.
Qual è invece il rapporto tra quello che hai studiato e l’esperienza sul “campo”?
L’università dà un’infarinatura puramente teorica, lavorare con l’utenza vuol dire mettersi in gioco veramente.
Una grande differenza.
Una grande e una bella differenza. Quando studi è tutto sulla carta, non hai modo di confrontarti con l’utenza. Che poi significa confrontarsi con persone, non con un’astrazione. Ti rapporti con sentimenti, relazioni, ed è quella la parte importante del lavoro.
Hai detto di esserti trovata bene nei gruppi, ma c’è stato un momento in cui hai pensato “questo è troppo, lascio”?
No. L’impatto forte c’è stato, però ho sempre avuto il supporto di tutta l’équipe, il modo di confrontarmi con l’educatore che li conduceva. Se pure sono usciti contenuti a forte impatto emotivo, sono comunque stati analizzati. L’idea di lasciare non mi ha mai sfiorato, tanto che dopo lo stage c’è stata un’esperienza di tirocinio e quando è finita ho chiesto di continuare come volontaria.
Per concludere, quali soddisfazioni ti sta dando questa esperienza?
La soddisfazione a livello personale e di confronto con professionisti con più esperienza e strumenti di me. È uno stimolo anche per me, mi sprona ad andare avanti negli studi, nella formazione…
Un cammino, insomma.
Sì. E il percorso dei ragazzi non è staccato dal mio. Essendo un lavoro di relazione, il rapporto con loro influenza anche me, il mio modo di comportarmi e relazionarmi.