In famiglia

Perché investire nelle relazioni può portare più nascite e felicità

Una politica per la natalità deve lavorare sui fronti economici, ma anche su fiducia nel futuro, gusto della generatività, capacità di costruire rapporti umani positivi

I dati del crollo demografico del nostro Paese sono impressionanti e drammaticamente aggravati dalla pandemia. Dal 2008 la popolazione presenta un saldo negativo tra nascite e morti, dal 2013 i nuovi nati sono costantemente in calo. Negli ultimi anni pre-pandemia il saldo negativo ha oscillato tra le 150mila e le 200mila unità per balzare a meno 335mila unità (più di 5 italiani su 1.000 spariti in un anno) ai tempi della pandemia nel 2020, non solo per le morti in eccesso causate dal Covid- 19 ma anche per l’effetto depressivo che la pandemia ha avuto sulle decisioni di natalità delle giovani coppie. Gli effetti deleteri del crollo demografico su tenuta del sistema pensionistico, mercato del lavoro e dinamica di settori che dipendono dalla presenza di bambini e di ragazzi (ad esempio quello scolastico) sono ben noti.

Meno visibili e meno noti sono quelli dell’impatto positivo che famiglie con almeno due figli si dimostra empiricamente abbiano su virtù sociali come fiducia, reciprocità, capacità di dono, fattori essenziali per una buona vita sociale ed economica. Se la famiglia è casa e scuola di relazioni (non solo nella mente dei filosofi ma anche nell’evidenza empirica) come faremo ad assicurare la base minima di virtù civiche necessarie per il buon funzionamento della società in un mondo di figli unici o di nuclei familiari disintegrati? Come è noto siamo dentro trend di lungo periodo che hanno trasformato le famiglie. Quella di chi scrive ne è un tipico esempio con una madre che aveva 9 tra fratelli e sorelle, ognuno dei quali ha avuto una media di 3 figli, i quali a loro volta hanno una media di circa 1,3 figli per nucleo familiare in linea con i dati italiani. Nel considerare questi dati non dobbiamo sfuggire al confronto tra le esigenze della demografia e quelle della sostenibilità ambientale.

Guardando alle tendenze attuali, però, non dobbiamo credere che siano necessariamente in conflitto perché la cultura dominante sta rapidamente uniformando verso il basso i tassi di natalità in tutto il mondo e la popolazione mondiale inizierà presto a decrescere. L’equilibrio tra procreazione responsabile e sostenibilità ambientale a livello globale (considerando anche il progresso delle tecnologie per la sostenibilità ambientale) si può situare tranquillamente molto al di sopra dell’attuale tasso di natalità in Italia che ci porterebbe in equilibrio nel tempo a dimezzare la nostra popolazione attuale. Le ragioni del calo demografico sono ben note. Nelle società dei nostri nonni per ragioni culturali, religiose ma anche pratiche i figli erano una ricchezza e molto spesso e molto presto nelle società agricole un aiuto nel lavoro nei campi. Nella società moderna, con l’aumento del reddito pro capite e i cambiamenti religiosi e culturali, il costo opportunità di avere figli (costo economico per assicurare loro tutto quello che oggi i nostri ragazzi hanno a disposizione e ‘costo’, da parte soprattutto della madre, in termini di sacrificio di opportunità di carriera) è aumentato significativamente facendo crollare i tassi di natalità.

Sintetizzando, possiamo considerare che le decisioni di natalità dipendono da sei fattori, tre economici e tre culturali. Quelli economici sono ovviamente il reddito familiare presente e futuro atteso, necessario per mantenere la famiglia che cresce in numerosità, i servizi alla famiglia (asili nido, assistenti domestici, ecc.) e il modo in cui è strutturato il lavoro e la sua maggiore o minore capacità di consentire l’armonizzazione della vita lavorativa e di relazioni. Dietro questi fattori economici, assolutamente importanti, ci sono però almeno altri tre fattori che sottendono questioni più profonde: 1) la fiducia nel futuro; 2) il gusto della generatività, ovvero il contributo che percepiamo la stessa porti alla soddisfazione e alla ricchezza di senso della nostra vita; 3) la fiducia e l’arte di costruire relazioni in quanto dietro la nascita (voluta e non occasionale) di un figlio c’è un progetto di costruzione di relazioni che si presume stabile e continuo nel tempo.

I dati di tutti i paesi Ocse, e ancor più quelli del nostro Paese, che hanno tassi di natalità inferiori a quello necessario per mantenere la popolazione costante (2,2 figli per donna) si spiegano col fatto che tutti e sei questi fattori remano contro la decisione di avere figli. Gli shock sempre più frequenti (finanziari, pandemici, ambientali) non aiutano certo ad avere fiducia nel futuro e producono effetti negativi sul reddito di molte giovani coppie. La scarsa qualità dei servizi alla famiglia nel nostro Paese e le difficoltà per i giovani di entrare nel mondo del lavoro e le condizioni di lavoro (che non raramente vedono i due partner lavorare in città diverse) non aiutano certo l’armonizzazione tra vita di lavoro e vita di relazioni. La perdita di senso religioso e il progressivo imbarbarimento nell’arte di costruire relazioni danno poi il colpo decisivo. La cultura relazionale ‘inecologica’ usa-e-getta di oggi considera le relazioni beni di consumo e non beni d’investimento, producendo sottoinvestimento nelle stesse e profonda infelicità. Una relazione affettiva e una famiglia sono un orto e non una rosa. Chi passa di fiore in fiore e non investe ogni giorno nella propria relazione si trova progressivamente solo e senza niente in mano.

Anche da un punto di vista puramente utilitaristico sbaglia chi crede che i figli non ‘servano’ più. Certo oggi non sono (e per fortuna) braccia nei campi, ma restano sostegno fondamentale di quella lunga fase della vita non in buona salute di larghissima parte della popolazione che richiede come ingrediente cruciale la cura di un familiare; non solo ovviamente in termini di sostegno affettivo, ma anche nella delicata gestione delle crisi di salute e del rapporto con badanti e persone che assistono genitori anziani. Se questi sono gli elementi del problema, una politica per la natalità deve lavorare su tutti e sei i fronti. Su quelli economici l’Assegno unico è un primo timido passo verso un sistema economico e fiscale che riconosca il valore delle relazioni e della famiglia per sé, per la società e per l’economia. Il potenziamento dei servizi alla famiglia (esempio positivo l’investimento in asili nido come uno degli obiettivi del Pnrr) è anch’esso fondamentale. Un aiuto può e potrà arrivare dalla rivoluzione dello smart work, che sta offrendo a molte giovani coppie quel più di flessibilità che riduce la povertà di tempo di famiglie di giovani lavoratori con figli piccoli o appena nati. L’ultimo punto è quello più profondo, la riscoperta del valore delle relazioni e la capacità d’investire in esse, passa dal ritrovare il senso profondo della nostra vita.

La cultura cristiana, ma non solo quella (si pensi ai contributi di filosofi come Levinas, Buber e molti altri), e i dati empirici sulle determinanti della felicità, ci dicono che siamo relazioni e che la qualità della nostra vita di relazioni è ingrediente essenziale per il fiorire della nostra vita. Come in tante altre cose belle della vita la felicità esiste ma è faticosa e dobbiamo riscoprire e aiutare chi ci circonda a riscoprire il valore dell’investimento in relazioni (anche in giovane età quando le pressioni del mondo del lavoro sembrano trasformarlo in un ostacolo) in qualcosa che è e sarà componente essenziale della vera ricchezza della nostra vita.

da avvenire.it