Il 2 aprile si sono contati dieci anni dalla morte di san Giovanni Paolo II. La ricorrenza ha offerto lo spunto per una mostra fotografica – dal 10 al 13 aprile – negli spazi dell’Auditorium dei Poveri di via Garibaldi a Rieti.
«Il tema della mostra è “Pellegrini”. È un po’ il tentativo di guardare al tema del pellegrinaggio in senso esistenziale». A raccontare l’intento dell’iniziativa è l’autore delle foto, Dario Mariantoni, presidente del Circolo Fotografico Reatino “Porfiri”. «In fondo la vita dell’uomo è un continuo pellegrinaggio. Le immagini traggono spunto dai pellegrini arrivati a Roma per rendere omaggio a Giovanni Paolo II, morto il 2 aprile 2005. All’epoca sono giunte a Roma persone da tutto il mondo, e anch’io ho fatto il pellegrino insieme a loro per le vie della città fino a rendere omaggio nella basilica di San Pietro alle spoglie del Papa».
Un pellegrinaggio umano e fotografico…
Sì, ho realizzato delle istantanee di tutta questa gente che andava a piedi dalla stazione Tiburtina fino a San Pietro. Una marea di gente, la più varia, supportata da tutto l’apparato dei volontari per quello che in pratica è stato un giorno in cammino lungo le strade di Roma. Può essere visto come un percorso spirituale, una metafora del cammino umano.
In questi giorni con il Giubileo annunciato da Papa Francesco il tema del pellegrinaggio sembra tornato centrale. Ma secondo te cosa spinge realmente il pellegrino nel suo viaggio?
Mah, recentemente ho incontrato qui a Rieti un pellegrino particolare, vestito da “antico pellegrino”: con un saio pesante, una bisaccia di pelle a tracolla, un bastone di ulivo per aiutarsi. L’aspetto tipico che viene in mente quando pronunciamo la parola “pellegrino”. È un ragazzo sulla trentina che andava a piedi niente di meno che da Parigi a Gerusalemme. Credo gli ci siano voluti otto mesi. Si è fermato qualche giorno in città e ne ho approfittato per fargli diverse foto. Non gli ho chiesto cosa lo spingesse, ma mi ha lasciato lo stesso capire che dietro a certe scelte ci sono motivi personali. C’è come a ricerca di qualcosa che si è perduto.
Cosa c’è di Giovanni Paolo II nella mostra?
Io credo che di questo pontefice sia affascinante proprio il suo pellegrinare di uomo. Mi pare che abbia umanizzato la cattedra di Pietro, che abbia reso più accessibile quella dimensione, che abbia come voluto accorciare la distanza. Lo si è visto anche nell’intuizione della Giornata Mondiale della Gioventù, o letteralmente nei suoi viaggi: è stato il Papa che ha visitato tutti i luoghi del mondo, più di ogni altro. Dentro le foto c’è la fine di un pontificato intrecciato ai momenti decisivi della storia recente, letto attraverso i volti dei pellegrini, i loro stendardi, i loro bigliettini, i loro atteggiamenti dentro San Pietro e per le vie di Roma. In quei giorni ho utilizzato un po’ tutte le tecniche: bianco e nero, colore, digitale. Quelle nella mostra sono immagini digitali trattate con un particolare procedimento che le rende tremolanti, sdoppiate, incerte. È un modo per mettere in evidenza che non sempre la fede è qualcosa di certo, una convinzione granitica, ferma, stabile.