Patologie tumorali. Qualche speranza da una nuova e originale tecnica

Tra le malattie che ancora rappresentano una sfida aperta per la medicina, continuano a spiccare purtroppo le patologie tumorali. Molto si è fatto, conquistando ampi spazi di guarigione; tuttavia, ancora non si è giunti alla vittoria definitiva.
Nel frattempo, si è ampiamente consolidata la consapevolezza medica che molto si gioca sulla diagnosi precoce delle malattie tumorali, essendoci una proporzione diretta tra tempestività dell’intervento e probabilità di guarigione.
In quest’ottica, una recente ricerca (pubblicata su “Light: Science and Applications”, rivista del gruppo Nature), condotta da un team di giovani studiosi, presso l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti del Consiglio nazionale delle ricerche (Isasi-Cnr), a Pozzuoli, in collaborazione con il Consorzio Ceinge-biotecnologie avanzate, di cui fa parte l’Università di Napoli Federico II, ha messo a punto una nuova e originale tecnica per identificare cellule estranee – le cosiddette Ctc (Circulating Tumor Cells) -, circolanti all’interno del flusso sanguigno.
È noto che il sangue è composto da milioni di cellule, quali globuli rossi, bianchi, piastrine, linfociti. In genere, la diagnostica di malattie del sangue viene eseguita mediante emocromo, analisi in grado di fornire parametri statistici sulle cellule esaminate (volume cellulare, emoglobina, ecc. ). Per ottenere informazioni morfologiche è invece necessario studiare lo striscio di sangue al microscopio; ma con il limite di restringere l’analisi ad una piccola parte delle cellule e, inoltre, di elaborare un responso “soggettivo”, cioè dipendente dall’interpretazione del medico che studia l’immagine.
Ecco allora la novità: i risultati ottenuti e descritti nella nuova ricerca dimostrano la possibilità di effettuare una “cito-tomografia in flusso” su campioni liquidi, usando la tecnologia microfluidica o moce (Lab-on-a-Chip).
“Questa nuova tecnica di tipo interferometrico – spiegano gli autori dello studio -basata sull’olografia digitale, consente di analizzare anche milioni di cellule mentre scorrono in un canale microfluidico fornendo parametri quali l’emoglobina, al pari del classico emocromo. Inoltre è in grado di analizzare ogni singola cellula praticamente in tempo reale, ricostruendone l’immagine tridimensionale con una accuratezza senza precedenti”. “In questo modo – chiarisce Francesco Merola, coordinatore del gruppo – è possibile identificare cellule rare, sintomo precoce di eventuali patologie, che passerebbero inosservate a un’analisi tradizionale. La chiave della tecnica sta nello sfruttare la rotazione di 360° delle cellule mentre scorrono nel canale, questo ci consente di ricostruire la struttura tridimensionale di ogni cellula fino a dimensioni di millesimi di millimetro”.
Difatti, questa ricerca ha consentito di ottenere una tomografia di globuli rossi di pazienti con diverse forme di anemie, identificandole con precisione assoluta.
“Grazie alla particolare accuratezza di questa tecnica di imaging ottico – conclude Achille Iolascon del Ceinge, ordinario di genetica medica dell’Università Federico II -, anche la più piccola variazione morfologica rispetto al globulo rosso sano può essere rivelata, riconoscendo velocemente e oggettivamente l’eventuale malattia connessa: una sorta di biopsia liquida”.
Peraltro, “tramite questa tecnica sarà possibile studiare qualsiasi tipo di cellula, non solo quelle del sangue”, aggiunge Pietro Ferraro, direttore di Isasi-Cnr. “Infatti – grazie al contributo dei colleghi dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb-Cnr) – la validità è stata confermata anche con le diatomee, alghe cui si deve la produzione di oltre il 20% dell’ossigeno dell’intero pianeta, la cui presenza negli oceani è un importantissimo segnale di salute degli ecosistemi. I cloroplasti, gli elementi delle diatomee responsabili della fotosintesi, sono estremamente sensibili ai contaminanti presenti nell’acqua marina e la tecnica permette di ottenerne la forma completa tridimensionale, fornendo informazioni su un’eventuale contaminazione”.
Insomma, sembra proprio che i risultati di questa ricerca potranno avere un forte impatto sulla diagnostica oncologica, aprendo la strada alla possibilità di trovare il cosiddetto “ago nel pagliaio”, ovvero le cellule tumorali circolanti, primissimo segnale premonitore – finora inafferrabile – di possibili metastasi.