Pasqua, un salto nella speranza

Messaggio di Mons. Lucarelli per la Pasqua 2012

Passaggio dalla schiavitù alla libertà: così viene spesso e giustamente definita la Pasqua, a partire dalla sua etimologia ebraica. In realtà, Pesach è il termine che indicava per il popolo di Israele il passaggio con le greggi, nel periodo di primavera, dalla pianura alla collina, la cosiddetta transumanza. Durante questo passaggio i pastori si nutrivano degli agnelli che erano nati da poco e in segno di festa tingevano le tende dei loro accampamenti con il loro sangue.

Una volta divenuti sedentari, soprattutto durante la schiavitù in Egitto, continuarono a celebrare questa festa pastorale, anche per mantenere viva la loro identità, duramente provata da una schiavitù che si sarebbe protratta ben 430 anni.

Era una notte di Pesach quando Mosè, intorno al 1250 a. C., realizzò la loro liberazione. Israele avrebbe consumato come al solito la cena (seder) di Pasqua e avrebbe segnato con il sangue dell’agnello gli stipiti delle porte.

L’angelo che avrebbe ucciso i figli degli Egiziani, vedendo quei segni rossi di sangue, avrebbe saltato (pesach) le case degli Ebrei, risparmiando i loro figli.

Poi Mosè li avrebbe fatti passare (pesach) illesi attraverso il Mare Rosso. In questo contesto storico e teologico noi comprendiamo la Pasqua cristiana, come passaggio, salto, dalla morte alla vita; anzitutto di Cristo, che ha sconfitto il male e la morte e poi di tutti coloro che credono in Lui.

Dunque la Pasqua è un passaggio, un salto di qualità, se vogliamo, da una condizione servile, mediocre, scadente, ad una vita diversa. La morte di Cristo non è un salto nel vuoto, poiché la vita, di ciascuno di noi, non è senza valore. La Pasqua ci dice quanto sia importante la vita e che la morte fisica non è la fine di tutto: lo dico soprattutto per coloro che anche nella nostra piccola realtà hanno pensato di porre fine alla loro vita, alcuni riuscendoci, altri no. La mancanza di lavoro, le delusioni, le sconfitte, le amarezze: nulla può giustificare il rifiuto della vita; con la morte fisica noi poniamo un termine irreversibile a quelle opportunità che invece potrebbero esserci ancora riservate. Nulla può giustificare tutto questo. Cristo non si è tolto la vita, ma l’ha offerta, in una donazione generosa, in obbedienza al disegno del Padre e in riscatto dei peccati degli uomini. Non ha rinunciato a lottare, ma ha lottato fino in fondo.

Carissimi fratelli e sorelle, noi siamo chiamati a dire sempre di sì alla vita, a fare un salto di qualità, non nel vuoto, ma nella pienezza, non nell’angoscia del nichilismo, del nulla di una vita da cui ci lasciamo travolgere, ma nella piena consapevolezza di vivere un’esperienza unica che ci viene offerta per lasciare un segno positivo anche nella vita degli altri.

Mi sento di augurare con affetto paterno a tutti i credenti di gustare nei sacramenti pasquali la forza della Pasqua, il profumo di una vita ricca di buone opere, per guardare con fiducia al futuro; dobbiamo ricordare che il buio viene sempre squarciato dalla luce, che il male viene sempre fagocitato dal bene, che la morte non avrà l’ultima parola, ma sarà sopraffatta dalla vita.

In questo anno che la nostra diocesi ha dedicato all’Eucaristia dobbiamo tornare alle sorgenti della nostra più intima natura di cristiani, facendoci pane come Cristo si è fatto pane per noi, donandoci ai fratelli come Lui si è donato per noi.

Questo stile nuovo e tipico dei cristiani ci aiuterà a passare illesi attraverso il mare della vita, a fare un salto nella vita piena, a passare dalla schiavitù alla libertà: poiché questo è il nostro più sincero anèlito, godere della libertà, che non è irresponsabilità da vivere nell’ozio o nell’apatia, ma nella operosità di chi è ansioso di compiere il bene e diffondere luce e ottimismo.

Un augurio di buona Pasqua a tutti, mentre invoco la benedizione del Signore.