La testimonianza di padre Vincenzo Bordo, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, da 24 anni in Corea del Sud dove accoglie senza tetto, anziani soli, giovani di strada: “Francesco atterrerà a soli 500 metri da noi. Non è una distanza enorme. Vederlo entrare nella porta del nostro Centro sarebbe davvero una grande grazia”. Il ritratto di un Paese che “lascia per strada tanta gente, molti sono giovani, anziani e malati”.
“Il Papa atterrerà a soli 500 metri da noi. Non è una distanza enorme. Vederlo entrare nella porta del nostro Centro sarebbe davvero una grande grazia!”: è questa la speranza segreta, ma non troppo, di padre Vincenzo Bordo, originario della provincia di Viterbo, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, da 24 anni in Corea del Sud, e da 22 a Seongam, dove ha fondato la “Casa di Anna”, un centro – completamente autofinanziato – per senza tetto, anziani soli, giovani di strada. Un servizio che gli è valso il premio Ho-Am 2014, il Nobel della Corea del Sud. Lo contattiamo al telefono mentre presta il suo servizio alla mensa: “Stavo lavando i piatti”, dice sorridendo dall’altro capo del telefono. Argomento della conversazione, l’imminente viaggio apostolico di Papa Francesco in Corea dal 14 al 18 agosto. “So bene che la visita al nostro centro non è in programma ma il Pontefice ama sorprendere e chissà che non decida di venire a salutarci subito dopo il suo arrivo”, ripete speranzoso. E nell’attesa di un “fuori programma papale” il sacerdote racconta di un’altra attesa, quella di un Paese, la Corea del Sud, dalla società “complessa, veloce e intelligente che lascia indietro chi non riesce a tenere il passo. Sono proprio queste le persone che incontro e che ogni giorno vengono da noi – una media di 500 presenze con punte di 700 – per avere il necessario per vivere e per essere aiutate nel reinserimento”.
Che accoglienza troverà Francesco in Corea?
“C’è grande attesa per questa visita. Francesco è una persona stimata e ascoltata da tutti. Lo aspetta un Paese molto ricco, che ancora non risente della crisi economica che ha colpito l’Europa, ma anche molto secolarizzato. In questo senso la differenza con il Vecchio Continente è minima. Basti pensare che negli anni ‘90 la frequenza domenicale era dell’80% dei cattolici, oggi le statistiche parlano di poco più del 20%. La Corea è caratterizzata anche da una grande competitività nel campo lavorativo e dell’istruzione che lascia per strada tanta gente, molti sono giovani, anziani e malati. Gente che vive ai margini della società e che accogliamo nei nostri centri. Non si tratta di offrire solo da mangiare ma di ridare una nuova dignità a persone che soffrono”.
Per questo impegno lei è stato insignito del premio Ho-Am 2014, il Nobel della Corea del Sud…
“A proposito di questo premio vorrei dire che è stato istituito dal colosso Samsung che si professa areligioso. Il fatto che sia stato assegnato, per la prima volta, ad un prete cattolico, e per giunta straniero, significa che si vuole riconoscere l’impegno dei cattolici a fianco dei poveri, la condivisione, l’accoglienza, e in definitiva la validità dell’insegnamento di Cristo. L’evangelizzazione non è una verniciatura di Cristianesimo ma l’insieme dei valori evangelici che si inculturano nella società laica”.
Il Papa farà visita al Centro di recupero per disabili nella “House of Hope” a Kkottongnae. Che significato ha questo gesto per la Corea?
“Kkotognae è un centro molto grande che ospita circa 4mila persone, disabili, senza tetto, gente abbandonata. Per queste il Papa rappresenta un segno di speranza e di vicinanza. Per la Corea, invece, è un monito a non lasciare indietro nessuno, in modo particolare i giovani”.
Alla luce della sua esperienza ritiene che il disagio giovanile sia una delle periferie esistenziali più problematiche della Corea di oggi?
“Bisogna dire che i giovani ben preparati, che hanno buone basi, in Corea riescono ad avere successo. Ma chi è orfano, chi è abbandonato, chi non ha una buona situazione familiare è tagliato fuori. A Seongam vive un milione di abitanti, e nei nostri centri prendiamo in carico annualmente circa 200 ragazzi, ma è poca cosa rispetto ai 2mila giovani che ogni anno qui lasciano la scuola e vanno sulla strada. Una sfida enorme che nessuno vuole affrontare o sa come fare. Il disagio giovanile in Corea sta crescendo in modo importante ed è un fenomeno che chiede delle risposte forti. Forse è giunto il momento per la Corea di rallentare il passo e permettere a queste persone di rientrare con piena dignità. L’obiettivo non sono i soldi ma la persona. Il Papa, io credo, lo ribadirà in modo molto chiaro. Si tratterà di mettere in pratica questo insegnamento”.
E come?
“Sarà decisivo l’impegno dei laici cattolici. Come è stato alle origini del Cristianesimo in Corea, ma dovrà essere un cammino condiviso tra gregge e pastori. La crescita dei cristiani in Corea, non dimentichiamolo, è dovuta al fatto che la Chiesa si è messa a fianco della gente, soffrendo con essa anche sotto la dittatura militare. Altro fondamento è rappresentato dai martiri di questa nazione. Il Papa viene anche per beatificare Paul Yun Ji-Chung e 123 compagni martiri. Riscoprendo i loro martiri i coreani riscoprono le loro radici di fede”.
Un’ultima domanda don Vincenzo: se il Papa non dovesse venire al suo centro a Seongam…?
“Lo ringrazierei comunque. Gli sono molto grato per ciò che fa. È motivo di speranza per moltissimi poveri e per i tanti, preti e volontari, che lavorano nelle periferie in diverse parti del mondo. Egli ci rafforza nel coraggio e ci esorta ad andare avanti. Le porte di ‘Casa di Anna’ resteranno aperte per accoglierlo. Noi lo aspettiamo!”.