No alla “cultura del trucco”, quella per cui “contano solo le apparenze, il successo personale, anche se devo passare sulla testa dell’altro”. Lo ha detto il Papa, rispondendo a braccio – per più di un’ora – alle domande di anziani e giovani di tutto il mondo, all’Augustinianum di Roma, durante l’evento organizzato nell’ambito del Sinodo dei giovani e in occasione della presentazione del libro “La saggezza del tempo”, a cura di padre Antonio Spadaro, in uscita in Italia per i tipi di Marsilio Editori.
Alla «cultura della competizione», Francesco ha proposto ai giovani la «cultura della fraternità», che «è una cultura di servizio, che si apre e si sporca le mani». «Sporcati le mani e sarai felice», l’invito.
«La fede va trasmessa in dialetto, sempre. Dialetto familiare». Nel ribadirlo, il Papa sottolinea che «sono i nonni, nei momenti più difficili della storia, coloro che hanno trasmesso la fede», come durante le persecuzioni religiose del secolo scorso. Il «silenzio che accompagna, non quello che accusa», è una virtù dei nonni, l’omaggio di Francesco, secondo il quale c’è una sola causa dell’allontanamento dei giovani dalla fede: «Le testimonianze brutte, non sempre in famiglia, anche nella Chiesa».
«Incomincia a sognare. Sogna tutto». Il Papa passa al tu, e per chiedere ai giovani di «sognare sfacciatamente, senza vergogna» prende a prestito la «bella canzone» di Domenico Modugno: Nel blu, dipinto di blu, felice di stare lassù.
«Sognare e prendere i sogni dagli anziani» per portarli avanti, il segreto del rapporto intergenerazionale. Come nell’icona di Bose, la santa comunione, che raffigura i sogni di un giovane monaco che porta avanti i sogni di un anziano.
«È importante che i giovani conoscano il risultato delle due guerre del secolo scorso. È un tesoro, negativo, ma un tesoro da trasmettere per creare delle coscienze». «Un tesoro che così ha fatto crescere l’arte italiana», prosegue facendo notare che «il cinema del dopoguerra è una scuola di umanesimo».
«Che i giovani sappiano come cominciano i populismi, perché non cadano nello stesso errore», il monito di Francesco, che pur senza chiamarlo per nome evoca Hitler, «che aveva promesso lo sviluppo della Germania dopo un governo che aveva fallito». «Non si può vivere seminando odio», la denuncia: seminare odio non solo sulla scena internazionale, ma anche «nella famiglia, nel quartiere, è uccidere».
«Il Mediterraneo è un cimitero, non dobbiamo accettare questa sofferenza», l’appello del Papa: «Oggi c’è la terza guerra mondiale a pezzetti. Mancanza di umanità, aggressione, odio, fra culture, fra tribù, anche la deformazione della religione per poter odiare meglio: questa è la strada del suicidio dell’umanità».
Si può seminare odio mascherandolo con la libertà, o in nome della purezza della razza, o con i migranti. «Accogliere i migranti è un mandato biblico», ribadisce Francesco.
«L’Europa è stata fatta dai migranti», e prima di dare un giudizio sulle migrazioni bisogna riprendere in mano la nostra storia europea: «Io sono figlio di un migrante che è andato in Argentina, e nell’America del Nord e del Sud ci sono tanti che hanno cognomi italiani. Migranti ricevuti col cuore e la porta aperta. Ma la chiusura è l’inizio del suicidio».
Ma non basta accogliere, bisogna integrare, come ha fatto la Svezia con i migranti argentini. «Un governo deve avere il cuore aperto per ricevere, le strutture buone per fare strada, integrazione e anche la prudenza di dire: Fino a questo punto posso, poi non posso», puntualizza il Papa: «Per questo è importante che tutta l’Europa si metta d’accordo per risolvere questo problema. Invece il peso più grande lo portano l’Italia, la Spagna, Cipro…Non seminare odio: guardare i nuovi cimiteri europei, si chiamano Mediterraneo, Egeo…».
«La nostra identità non è la carta d’identità, ha delle radici: sentendo gli anziani noi troviamo le nostre radici». Nell’incontro a braccio con gli anziani e i giovani Francesco racconta anche alcuni aneddoti sulla sua “curiosità” nei confronti degli anziani: come la vicina di casa che all’età di 16-17 anni accompagnava all’opera, le due nonne da cui ascoltava racconti di guerra, così come la signora siciliana che aiutava sua madre a fare le pulizie in casa.
«Come l’albero, ci sono tagli, altrimenti l’albero non crescerà, non darà i suoi frutti», prosegue citando ancora una volta la frase del poeta argentino Francisco Luis Bernárdez: «Tutto ciò che sull’albero è fiorito / vive di ciò che giace sotterrato».
Oggi la tortura è una forma di crudeltà che consiste nella «distruzione della dignità della persona», dice il Papa rispondendo a braccio all’ultima domanda, rivoltagli dal regista Premio Oscar Martin Scorsese. «È il pane nostro di ogni giorno. E sembra normale, e nessuno parla. È come uno schiaffo in faccia, è giocare con la dignità delle persone», denuncia Francesco, che per far comprendere ai giovani che la violenza, la crudeltà, «uccide non solo la persona, ma l’appartenenza a una comunità», suggerisce di chiedere la grazia delle lacrime: «Davanti a queste violenze, a questa crudeltà, a questa distruzione della vita umana il pianto è umano e cristiano». Condivisione, dialetto ed empatia, sono gli ingredienti da usare con i giovani. La vicinanza, infine, fa miracoli: «La non violenza, la mitezza, la tenerezza, virtù umane che sembrano piccole ma sono capaci di trasformare i conflitti più brutti». «Come lei che si è avvicinato, e da lì ha incominciato a prendere la saggezza che oggi ci fa vedere nei suoi film», l’omaggio a Scorsese: «Vicinanza con coloro che soffrono. Non avere paura. Vicinanza con i problemi, vicinanza tra giovani e anziani».