Il padre sa aspettare…

…perdonare, accogliere, abbracciare e amare tutti i suoi figli

Riceve i peccatori e mangia con loro: così parlavano scribi e farisei vedendo che pubblicani e peccatori si avvicinavano a Gesù. Scandalo per i benpensanti; buona notizia se, come ricorda Francesco, ci sentiamo tutti peccatori. Sì perché le tre parabole, la pecora smarrita, la moneta perduta e il figliol prodigo, forse, dovremmo dire il padre misericordioso, ci mettono di fronte una verità: il Signore non abbandona, e sempre è pronto ad accogliere.
Il brano del figliol prodigo che torna alla casa del padre e chiede di essere trattato come uno dei tanti salariati, è forse il testo dove meglio si evidenzia la misericordia del padre, dramma profondo tra l’amore del genitore e la prodigalità e il peccato del figlio. Questi “che riceve dal padre la porzione di patrimonio che gli spetta e lascia la casa per sperperarla in un paese lontano vivendo da dissoluto, è in un certo senso l’uomo di tutti i tempi”, scrive san Giovanni Paolo II nella “Dives in misericordia”. La parabola, si legge ancora nell’enciclica, “tocca indirettamente ogni rottura dell’alleanza d’amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato”. Il patrimonio è un bene materiale, ricorda ancora Papa Wojtyla, “ma più importante di questi beni era la sua dignità di figlio nella casa paterna”.
Luca usa poche parole per descrivere la misericordia del padre: quando il figlio “era ancora lontano”, il padre “lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. E chiede che si ammazzi il vitello più grasso. Ma c’è anche una terza persona: il fratello maggiore. Questi non ci sta, si sente in un certo senso defraudato, e dice: da tanti anni ti servo ma non mi hai dato nemmeno un capretto per festeggiare con gli amici.
Prima immagine il servo, il servire. Il figlio maggiore non ha mai abbandonato il padre e ritiene di essere maggiormente ricompensato proprio in base a quanto ha fatto nella casa del padre. L’altro, il minore, è in un qualche modo il lontano, colui che torna e che vede nel volto di Dio il padrone. Ma ecco che il padre rifiuta le due immagini: nessuno è servo. Si festeggia il ritorno di chi si era allontanato, ma non si dimentica chi è rimasto accanto. Forse siamo un po’ tutti figli maggiori in questa stagione della vita; crediamo che abbiamo diritti, se così possiamo dire, che non possono essere ignorati.
Il racconto di Luca, afferma Papa Francesco, ci dice che il padre è sempre pronto a perdonare e che “spera contro ogni speranza”. Ciò che colpisce è anzitutto la sua tolleranza dinanzi alla scelta del figlio di lasciare la casa paterna: “avrebbe potuto opporsi, sapendolo ancora immaturo, un giovane ragazzo, o cercare qualche avvocato per non dargli l’eredità, essendo ancora vivo”. Invece gli permette di partire. Così agisce Dio con noi: “ci lascia liberi, anche di sbagliare, perché creandoci ci ha fatto il grande dono della libertà. Sta a noi farne un buon uso. Questo dono della libertà che Dio ci dà mi stupisce sempre”. Ma è solo distacco fisico, “il padre lo porta sempre nel cuore; attende fiducioso il suo ritorno; scruta la strada nella speranza di vederlo”. Quando lo vede in lontananza, si commuove e “gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia. Quanta tenerezza”. La stessa accoglienza riserva al figlio maggiore: “il padre esce incontro anche a questo figlio e gli ricorda che loro sono stati sempre insieme, hanno tutto in comune”. Commenta Francesco: quando uno si sente peccatore “si sente davvero poca cosa … allora è il momento di andare dal Padre”. Così quando uno si sente giusto “ugualmente il Padre viene a cercarci, perché quell’atteggiamento di sentirsi giusto è un atteggiamento cattivo: è la superbia”. Il padre “ci ama oltre ogni misura, aspetta sempre la nostra conversione ogni volta che sbagliamo; attende il nostro ritorno quando ci allontaniamo da lui pensando di poterne fare a meno; è sempre pronto ad aprirci le sue braccia qualunque cosa sia successa”. Nella parabola, afferma Papa Wojtyla nella sua enciclica, diviene palese che “l’amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e troppo spesso stretta”.