Oltre i falsi miti

Jonathan Keates “rilegge” narrativamente alcuni episodi dell’Ottocento italiano

“Guardò il disegno che aveva fatto, capì che era deturpato, e con rabbia lo appallottolò tra le dita. (…). Nemmeno per un istante tirò le redini e si voltò per dare un’occhiata ai Santoianni. Vivi o morti, i loro affari non lo riguardavano affatto”.
Il disegno in questione è “deturpato” dalla fucilazione di alcuni patrioti da parte dell’esercito borbonico, dopo uno scontro a fuoco in Calabria (che ricorda da vicino la fine dei fratelli Bandiera nel 1844), ma l’unica reazione del pittore inglese Cattermole è la rabbia per l’intrusione dell’uomo in un delizioso quadretto agreste. Questa storia di nevrosi e di egoismo mascherati da spirito artistico è raccolta, con altre tre, nel volume “Un lieve disordine” (Fuorilinea, trad. di Mario Scotognella, 172 pagine) di Jonathan Keates.
Keates è uno scrittore inglese che una volta si sarebbe detto “poligrafo”, capace cioè di sondare i rapporti tra varie arti; presiede il “Venice in peril fund”, che si interessa della salvaguardia delle opere d’arte di Venezia ed è uno specialista di storia italiana, soprattutto del risorgimento. L’autore conosce talmente in profondità l’Ottocento italiano che può permettersi il lusso dell’indagine demitizzante, non tanto nei riguardi dei processi risorgimentali, quanto dei tic e delle estenuate raffinatezze delle classi alte e degli intellettuali, come nel caso del pittore che lungi da sentir dolore e pietà per i patrioti fucilati, si lascia andare a recriminazioni estetiche.
Nel racconto “Fuochi fatui”, in una Laguna che sa più della corruzione e del disfacimento della “Morte a Venezia” di Thomas Mann che delle cartoline turistiche, un giovane intellettuale vuole conoscere di persona il suo grande idolo, quello che considera il genio della musica, Jolliot (che ricorda per qualche verso Wagner) ospite con la sua corte in un albergo veneziano. Il giovane rimarrà deluso e dalla meschinità del musicista e dalle squallide tresche che si intrecciano attorno alla sua declinante figura.
Keates conosce molto bene arte, musica, letteratura e costumi del belpaese nel diciannovesimo secolo, e può permettersi il lusso di lasciare in superficie i grandi eventi per andare a sondare la realtà profonda degli individui, e allora sono guai. Perché quello che si cela dietro la ricerca spasmodica della bella opera talvolta è la meschinità, l’individualismo patologico. La grande musica nasconde livori e gelosie, dietro le note di un brano famoso giacciono egoismi, infedeltà, piccolezze e tradimenti. Il microcosmo che sta dietro la letteratura viene dissezionato nel racconto “Un distinto pachiderma”: il poeta Pellegrini deve andare in esilio a causa di una sua opera che inneggia alla libertà. Egli diviene un esempio, anche se lentamente, attraverso l’accumularsi dei discorsi degli altri protagonisti (e questo è uno dei punti di forza del libro), si scopre che quest’opera non era poi così grande, che il poeta è incapace di scrivere altro e che la sua vita privata nasconde ombre assai poco dignitose, che devono essere taciute per permettere la costruzione di un mito dai piedi d’argilla. L’ultimo racconto, che dà il titolo all’intera raccolta, è un riferimento al grande teorico e scrittore John Ruskin e al suo matrimonio con una fanciulla molto più giovane di lui. Keates si mette nell’angolo di visuale dei protagonisti e cerca di capire e far capire i motivi della crisi matrimoniale, semplicemente rivivendoli. Il marito della giovane Flora è troppo preso dalle bellezze artistiche per dedicarsi alla giovane moglie, che sogna improbabili e ridicole storie d’amore in cui, in realtà, di amore ce n’è ben poco. Anche qui emerge la capacità dell’autore di sondare le contraddizioni e gli annoiati desideri di quella società che non faceva i conti con la fame e lo sfruttamento: “È stato furbo in qualche modo, usandomi semplicemente come ricettacolo per i suoi sentimenti, di qualunque natura siano” dice la moglie del noto critico parlando di un ufficiale, che invece di compiacere i suoi desideri amorosi, aveva “osato” rivelarle i suoi pensieri più profondi. L’unico a fare una non meschina figura è proprio Lionel-Ruskin, che sarà anche poco attento ai doveri coniugali, ma dimostra umanità e altruismo.
“Un lieve disordine” è un libro assai utile, ottimo complemento per lo studio della storia ufficiale, perché rivela quanto di troppo umano e di meschino ci sia talvolta dietro la creazione dei miti.