Migranti: l’integrazione è possibile

Il fenomeno dell’immigrazione è al centro del dibattito nazionale e qualche problema lo crea anche a Rieti. Gli ultimi episodi riguardano situazioni di malagestione, disordine e degrado nel centro storico e hanno sollevato non poche polemiche. Va però scongiurato il pericolo di una politica che insegue disperatamente i sondaggi e gli algoritmi dei social network, perché alla complessità del fenomeno non si può rispondere con le semplificazioni ideologiche, ma investendo in strategie di integrazione dalla provata efficacia

Ci sono gli immigrati sul piatto del dibattito cittadino in questi giorni. Il tema ha guadagnato i primi posti nelle cronache a più riprese. Già all’inizio di agosto i giornali si erano occupati di una «zona di bivacco, per usare un eufemismo», nel piccolo largo posto all’incrocio tra via Terenzio Varrone e via Pennina. «Diversi giovani di colore, molti di loro rifugiati politici» furono protagonisti di un’«ennesima rissa».

L’episodio, tutt’altro che isolato, fece parlare di una progressiva perdita di controllo sul fenomeno dell’immigrazione ed evocò il timore di zone del centro trasformate «in quartieri-ghetto». Un pensiero di fondo riesploso lo scorso venerdì in seguito a momenti di tensione in piazza San Francesco. A fare da detonatore, diverbi e colluttazioni tra migranti, immediatamente stroncati dalle forze dell’ordine e avvenuti mentre i residenti del quartiere lamentavano al sindaco proprio il degrado e la difficile convivenza con gli stranieri. Si parla di trenta persone in tutto, gestite da due cooperative, da queste sistemate in altrettanti appartamenti, sgomberati all’indomani dei fatti.

E non è stata l’unica reazione: hanno fatto seguito diversi monologhi inviati alle redazioni dei giornali in forma di comunicato stampa dai protagonisti della politica. «La misura è colma», è stato lo sfogo del sindaco, che ha annunciato una maggiore presenza della Polizia municipale e il potenziamento dell’illuminazione per contrastare chi non si comporta «secondo i canoni dell’antica e collaudata civiltà europea». Misure che si aggiungono alle videocamere di sorveglianza promesse dall’assessorato all’Innovazione tecnologica allo scopo di rassicurare chi condivide con qualche consigliere comunale la nostalgia per gli anni in cui «Rieti era una cittadina “tranquilla”». E in un clima che vede la destra rimproverare alla sinistra di aver consentito una Rieti «sommersa di immigrati oltremisura da anni», nel pomeriggio di lunedì si è riunito in Prefettura il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, anche per fare chiarezza sui numeri.

Un incontro che probabilmente non servirà a quietare il fiume di parole che da tempo scorre in rete. Rabbia, confusione e paura ribollono sui social media: i commenti sono secchi, lapidari, parziali, chiusi alla replica e in numero tale da dare le vertigini.

Eppure «accoglienza e integrazione non sono miraggi: a Rieti sono buone prassi, e da anni, grazie ai progetti “Sprar” del Comune». A ricordarlo dalle colonne de «Il Messaggero» è stato il direttore della Caritas diocesana, don Fabrizio Borrello, che ha invitato a uno sguardo più ampio. «Se ci sono persone che creano problemi, si individuano e si mettono in condizione di non nuocere, come si dovrebbe fare sempre. Ma il fenomeno – ha sottolineato – non può essere ridotto solo a un problema di ordine pubblico».

Come a dire che bisogna saper distinguere, cercando di cogliere la complessità della situazione senza cedere al bisogno di semplificazione che può emergere dall’opinione pubblica.
«Quando parliamo di cooperative – ha spiegato don Fabrizio – parliamo del sistema che gestisce la Prefettura e che si muove sull’onda dell’emergenza. Altra cosa è il canale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), che ha come punti di riferimento i Comuni».

Attraverso il servizio Sprar, il ministero dell’Interno gestisce in Italia i progetti di accoglienza, di assistenza e di integrazione dei richiedenti asilo a livello locale. Anche grazie al supporto delle realtà del terzo settore vengono garantiti interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, per puntare su misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.

«In questa direzione, la città di Rieti ha un’esperienza di tutto riguardo» sottolinea don Fabrizio. Il sacerdote conosce l’argomento “dall’interno”: sono due i progetti attivi nel capoluogo, uno per i richiedenti asilo, l’altro per i minori non accompagnati, e il primo è affidato proprio alla Caritas: «Abbiamo in carico accoglienza e integrazione di 40 immigrati, mentre l’Arci ha i ragazzi. E questo sistema funziona, e funziona bene perché riusciamo a garantire la frequenza a scuola, l’assistenza sanitaria, la formazione professionale. Se i Comuni entrassero nel sistema “Sprar”, le cose andrebbero meglio».

Quando si agisce in emergenza, infatti, le cose cambiano, «ma resta il fatto che ci sono delle regole e delle responsabilità precise da parte di tutti. E bisogna che ciascuno faccia il suo», precisa Borrello. Basti pensare a una vicenda di pochi mesi fa: lo sgombero a Vazia di alloggi occupati abusivamente da immigrati ormai fuori dai progetti di accoglienza. «Ce ne siamo fatti carico e abbiamo trovato loro una casa in affitto, ma devono concorrere nelle spese ed essere responsabili di quello che fanno».

Come a dire che a rimboccarsi le maniche e a farsi carico delle situazioni si fa prima che a dividersi tra buonisti e intransigenti, e meglio che a rimpiangere un mondo che non c’è più e che forse non c’è mai stato.