Migranti e desaparecidos: vescovi del Messico, “non possiamo tacere, ma oltre a parlare vogliamo anche agire”

A colloquio con mons. Alfonso Gerardo Miranda Guardiola, segretario generale della Conferenza episcopale messicana (Cem), oltre che vescovo ausiliare di Monterrey, sulla reazione della Chiesa locale alla spirale di violenza dentro la quale è caduto il Paese

“Non possiamo tacere, ma oltre a parlare vogliamo anche agire”. Appare risoluto, mons. Alfonso Gerardo Miranda Guardiola, giovane e dinamico segretario generale della Conferenza episcopale messicana (Cem), oltre che vescovo ausiliare di Monterrey, quando lo contattiamo per chiedergli in che modo la Chiesa messicana sta reagendo alla spirale di violenza dentro la quale è caduto il Paese. Le notizie che ogni settimana giungono dalla vasta Repubblica federale centroamericana sono drammatiche: il bollettino delle uccisioni (due categorie su tutte sono particolarmente prese di mira: i sacerdoti e i giornalisti), delle persone scomparse, di atti violenti, si ingrossa sempre più. Il narcotraffico pervade come un cancro la società, gli stessi cartelli criminali lucrano anche con il crescente traffico di esseri umani.

Di fronte a tale drammatica situazione la Chiesa messicana – la seconda comunità cattolica del pianeta dopo quella brasiliana -, in seguito allo storico viaggio di papa Francesco dello scorso anno, sempre più spesso fa sentire la sua voce, con rinnovato vigore, nell’ambito di un Piano pastorale globale che sta elaborando.

Quindici mesi fa infatti , parlando del narcotraffico ai vescovi messicani, papa Francesco aveva detto: “Le proporzioni del fenomeno, la complessità delle sue cause, l’immensità della sua estensione come metastasi che divora, la gravità della violenza che disgrega e delle sue sconvolte connessioni, non permettono a noi, Pastori della Chiesa, di rifugiarci in condanne generiche – forme di nominalismo – bensì esigono un coraggio profetico e un serio e qualificato progetto pastorale per contribuire, gradualmente, a tessere quella delicata rete umana, senza la quale tutti saremmo fin dall’inizio distrutti da tale insidiosa minaccia”. Nell’ultimo anno e soprattutto nelle ultime settimane le prese di posizione della Chiesa messicana si sono intensificate. Proprio da qui parte l’intervista del Sir a mons. Miranda.

Come la Chiesa sta vivendo questa escalation di violenza?

Non possiamo stare silenziosi, soprattutto in alcuni Stati, in alcuni luoghi del nostro paese. Tutta la Chiesa è chiamata ad alzare la voce in modo chiaro. Effettivamente recentemente ci sono stati vari pronunciamenti da parte della Cem, dei vari Dipartimenti pastorali, di singoli vescovi e diocesi. Abbiamo attivato un Osservatorio su ciascuna delle due grandi situazioni che maggiormente ci interpellano:

i migranti e le persone scomparse.

Al dramma dei desaparecidos l’Osservatorio ha dedicato un recente studio che denuncia la gravissima situazione. Quali obiettivi si pone la Chiesa?

Alcune stime parlano di almeno 30mila desaparecidos in venticinque anni. La gran parte di queste persone è stata sepolta in fosse clandestine, in maggioranza le vittime non sono mai state identificate. Nello studio parliamo ad esempio della scoperta, avvenuta lo scorso anno nella città di Torreón, nello stato di Veracruz, di quella che è considerata la fossa clandestina più grande del mondo, con quattromila frammenti ossei. Non possiamo tacere o essere reticenti. Oltre alla denuncia hanno grande valore dei progetti pastorali di accompagnamento delle vittime della violenza e dei loro familiari. Un progetto di questo tipo è stato avviato per esempio nello stato del Guerrero, una delle zone del Paese più colpite da questo dramma. Più in generale, puntiamo a dare vita ad

un Progetto nazionale per la Costruzione della pace.

Se ne sta occupando in particolare mons. Carlos Garfias Merlos, arcivescovo di Morelia e responsabile del settore “Giustizia, pace e riconciliazione” della Cem.

Mons. Garfias, in un recente incontro con i referenti diocesani, ha chiesto un Piano pastorale per la Pace in ogni diocesi. Di cosa si tratta?

Sì, vogliamo dare molta forza a questo piano, attrezzare le diocesi perché possano affrontare le nuove sfide, formare appositamente gruppi di sacerdoti. Questo piano va implementato con la maggior forza possibile. Concretamente, questo significa anche far sorgere Centri di ascolto per le vittime e i loro familiari, tagliare sul nascere la spirale della violenza, agire a livello pastorale su diversi ambiti. Penso ad esempio alla Pastorale familiare e all’importanza di prevenire la decomposizione familiare. E poi bisogna costruire reti tra i vari attori impegnati nella costruzione della pace: oltre alla Chiesa, Governo, società civile, professionisti…

Tale progetto come si inserisce nel Piano pastorale globale, che è stato abbozzato nella recente assemblea plenaria della Cem?

Certo, questo lavoro converge nel Piano pastorale globale, che vuole essere, su esplicita richiesta che il Papa ci ha rivolto lo scorso anno, “serio e qualificato”. Tutta la Chiesa messicana sta lavorando a questo progetto: vescovi, sacerdoti, laici. Una bozza sarà probabilmente pronta nel secondo semestre di quest’anno, poi seguirà una fase di discernimento nelle diocesi e nelle parrocchie.

Tornando alla situazione sociale, avverte che la Chiesa ha un ruolo decisivo in questo momento che sta vivendo il Paese?

Certo, un ruolo enorme. Abbiamo il compito non solo di alzare la voce con forza, ma anche di agire. In quest’ottica, è importante anche il dialogo con il Governo. Stiamo per festeggiare i 25 anni di ristabilimento delle relazioni tra Governo e Chiesa.

In chiusura, un cenno sull’altra grande questione che vi interpella, l’emergenza migratoria…

La situazione esiste da lungo tempo, con gli anni abbiamo sviluppato un’ottima relazione di lavoro tra vescovi delle diocesi frontaliere sia messicane che statunitensi. Le Chiese sono unite. Negli ultimi mesi , ad esempio, abbiamo preso posizione contro le separazioni di persone e famiglie. Poi non va dimenticato il grande lavoro delle Case del Migrante, e l’esistenza di una rete d’appoggio in tutto il Paese. Una cosa non va dimenticata: il problema delle migrazioni è enorme, ha implicazioni con il narcotraffico, i desaparecidos, il traffico d’armi. Bisogna essere uniti e agire ad un livello il più ampio possibile. Noi cerchiamo di farlo anche dentro al Celam e alla Rete Latinoamericana che si è creata su tale questione.

Cosa pensa dell’incontro tra il Papa e il Presidente Trump?

Non sappiamo cosa si siano detti… Noi sappiamo solo che dobbiamo continuare ad operare in difesa della dignità dei migranti.