Mezzogiorno: Sanità, pessimi “voti”

Classifiche negative sui 31 livelli di assistenza messi sotto esame da Agenas

A leggere quanto scrive l’Organizzazione Mondiale della Sanita sul sistema sanitario italiano, si potrebbero dormire sonni tranquilli. Nella classifica dei sistemi sanitari, l’Italia è tra i primi Paesi, in base a tre parametri: miglioramento dello stato di salute della popolazione, risposta alle aspettative di salute e di assistenza sanitaria dei cittadini, assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione.

Peccato che al Sud di tutto questo non vi sia traccia e che il diritto alla salute sia in sostanza divenuto un optional. Basta scorrere la cosiddetta “griglia lea”, diffusa nei giorni scorsi e compilata da un tavolo ministeriale a cui partecipano le Regioni e la loro agenzia nazionale, Agenas. Sono stati scelti 31 livelli essenziali di assistenza – le prestazioni che le Regioni devono dare ai cittadini, come i tassi di vaccinazione, i servizi agli anziani, i ricoveri ospedalieri appropriati e non, la risonanza magnetica, i controlli sulla sicurezza del lavoro – e si è verificato il modo in cui vengono erogati. Si valutano ad esempio. Si attribuisce un punteggio per ogni singola voce e man mano che la qualità della prestazione peggiora, il “voto” si abbassa.

Rispetto al 2013, i “voti” delle Regioni del Sud sono questi: Sicilia 165, Abruzzo e Lazio 152, Basilicata 146, Molise 140, Calabria 135, Puglia 134, Campania 127. Una certificazione dello sfacelo, se paragonata alla Regione con il dato migliore, la Toscana, con 214. Le Regioni che riscontrano più difficoltà in questa graduatoria sono quelle con i bilanci messi peggio e con una spesa maggiore per il personale.

Si stima che nel 2045 gli ultrasessantacinquenni saranno il 30% della popolazione e gli ultraottantenni il 12%. In questa situazione, che cosa ne sarà della popolazione del Sud quando invecchierà in modo assai più significativo di oggi? Come sarà garantita l’assistenza sanitaria quando diventeranno “endemiche” e prioritarie le malattie cardiovascolari – prima causa di morte, già oggi – i tumori, le patologie dell’invecchiamento, il diabete e le malattie metaboliche?

Nel Sud, i modelli organizzativi sono obsoleti e ad elevati livelli di spesa corrisponde una bassa qualità dei servizi erogati. Ne è prova il fatto che sono sempre più consistenti i flussi di mobilità di pazienti dal Sud al Nord alla ricerca di prestazioni e livelli essenziali di qualità non erogati dalle Regioni di appartenenza. Conseguenza di tutto ciò è l’incremento esponenziale dei costi e il dispendio di risorse umane e professionali. Il criterio della “spesa storica”, che è ancora oggi alla base del riparto del Fondo sanitario nazionale, risulta sempre più insopportabile per i cittadini che vivono nelle aree caratterizzate da maggiore inefficienza.

Se nelle aree più efficienti si è realizzata una adeguata integrazione tra servizi sociali, sanitari e assistenziali, nel Centro-Sud essa è gestita prevalentemente dagli Enti locali. Secondo dati Istat, si va dai 146 euro per abitante del Nord-Est ai 40 euro del Sud. Un baratro. Quanti di questi 40 euro vanno effettivamente al sistema salute? L’anno scorso, una ricerca dell’Ispe-Sanità cercò di valutare l’impatto complessivo della corruzione in Sanità, ovvero della corruzione in senso stretto sommata a inefficienze e sprechi. La corruzione totale venne stimata in 23,6 miliardi di euro l’anno. Si può ragionevolmente ritenere che questo dato incida fortemente sulla situazione del Sud, dove più che altrove sembra essere strettissimo il legame tra le lobby affaristiche e le responsabilità di gestione del sistema sanitario. Tante sono le inchieste giudiziarie che lo provano. Se si volesse davvero affrontare il problema, la priorità da seguire dovrebbe essere quella di azzerare tutto e di ricominciare da capo, recidendo l’obiettivo perverso di coloro che sulla salute (degli altri) intendono arricchire i patrimoni (propri).