Messico: il dramma della rotta migratoria del Centro America nell’era di Donald Trump e del Grande Muro

Una cinquantina di madri di figli “desaparecidos” a causa della migrazione, da Nicaragua, Honduras, El Salvador, Guatemala, stanno attraversando il Messico per puntare l’attenzione sul dramma di chi percorre la rotta migratoria del Centro America a causa di fame, povertà e disuguaglianze. In un momento in cui i rapporti tra Usa e Messico sono tesi per gli annunci di Trump contro l’immigrazione irregolare, la voce della Chiesa messicana e il commento di padre Flor Maria Rigoni, scalabriano che da oltre 30 anni lavora con i migranti

Una carovana di una cinquantina di madri che cercano i figli “desaparecidos”, spariti durante la rotta migratoria centroamericana attraverso il Messico, diventata dura e pericolosa come una dittatura o una guerra. E’ partita il 10 novembre e percorrerà tutto il Messico fino al 3 dicembre, per portare l’attenzione sul dramma delle migrazioni in Centro America. Una iniziativa resa ancora più attuale dall’annuncio del neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump di voler espellere 3 milioni di immigrati irregolarmente residenti nel Paese e con precedenti penali. E di voler costruire un muro alla frontiera con il Messico.

Le reazioni di Chiesa e governo messicano. La Chiesa messicana ha subito reagito alle dichiarazioni di Trump con preoccupazione.

L’arcidiocesi di Citta del Messico, in un editoriale del suo settimanale, ha chiesto al governo messicano di approntare misure urgenti per far fronte “alla deportazione di massa” con cui si cerca di “purificare gli Stati Uniti” da “elementi indesiderabili”, molti dei quali messicani.

La Chiesa non risparmia critiche all’amministrazione Obama, che nei suoi otto anni di governo “ha deportato tanti messicani quanti quelli che pretende di espellere Trump”. Il governo messicano, da parte sua, ha annunciato nei giorni scorsi 11 misure per aiutare i concittadini residenti negli Stati Uniti, invitandoli ad “evitare ogni situazione di conflitto” e a non incorrere “in azioni che possano tradursi in sanzioni amministrative o penali”. Tra le misure, una linea telefonica gratuita a disposizione 24 ore su 24 per dare informazioni, una app per i telefonini con i contatti necessari, l’aumento dei “consolati mobili” (nel 2015 erano 40) per il disbrigo delle pratiche, il rilascio dei passaporti e dei certificati di nascita. Per l’arcidiocesi della capitale queste misure “non bastano”: serve invece un lavoro di ampio respiro per “combattere la corruzione”, superare le disuguaglianze economiche e la povertà in alcune zone, promuovendo “l’economia sociale e produttiva” e la crescita di opportunità lavorative.


Un cammino pieno di insidie e dolori.
Il cammino dei migranti latinoamericani è comunque pieno di insidie e di dolori: le donne vengono violentate, sono esposti a sequestri ed estorsioni, molti vengono uccisi.  E poi ci sono quelli di cui si perdono le tracce completamente durante il viaggio. Per questo il Movimiento migrante mesoamericano, che promuove e difende i diritti delle persone migranti, organizza da 12 anni la “Carovana delle madri”. L’edizione di quest’anno è intitolata: “Buscamos vida en caminos de muerte” (Cerchiamo la vita su strade di morte) e sta attraversando 11 Stati messicani e sostando in 30 località. Una cinquantina di madri (ma anche alcuni padri), sostano nelle “case del migrante”, centri di accoglienza che offrono alloggio, cibo e altri servizi ai migranti che percorrono la rotta del Centro America in fuga dalla violenza e dalla fame o in cerca di una vita migliore: da Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua. C’è chi percorre a piedi anche 2.500 chilometri. Il Movimiento cerca anche di rintracciare alcuni degli scomparsi: in 15 anni ne sono stati trovati 260; quest’anno sono previsti sei incontri tra genitori e figli. L’honduregna Angela Adame ha potuto riabbracciare dopo 4 anni sua figlia in un carcere dello Stato di Zacatecas. Ma molte non hanno la stessa fortuna. Perciò chiedono una corretta gestione dei resti dei cadaveri dei migranti per l’identificazione; un supporto nella ricerca presso ospedali, cliniche, centri di reinserimento e altre strutture.

Padre Rigoni, “la nostra Siria centroamericana”. “Qui alle nostre porte abbiamo la nostra Siria centroamericana. I migranti si sentono da anni perseguitati, preda di qualsiasi cacciatore, oggetto di sospetto. Come mi diceva una mamma di cinque figli, i migranti portano sulle spalle giorno dopo giorno la bara, perché ogni momento ed ogni luogo può essere il loro cimitero”. A parlare al Sir è padre Flor Maria Rigoni, 71 anni, scalabriniano di Bergamo, che da 45 anni porta avanti la sua missione tra i migranti in Europa, Africa e da tre decenni in Messico. E’ un’autorità in quest’ambito, tanto da essere invitato alle Nazioni Unite a parlare. Nel 2006 ha ricevuto il Premio nazionale per i diritti umani dal presidente messicano. Da quando è arrivato in Messico avrà incontrato più di 700mila migranti e aperto tre “case del migrante”. Dal 1998 padre Rigoni è a Tapachula, chiamata anche la “Tijuana del sud”, una cittadina nel poverissimo Stato messicano del Chiapas, luogo di partenza e di transito di molti migranti, di cui circa il 25% sono donne. Che non pensano più al “sogno americano” come immaginato dal parziale punto di vista europeo.

Rimangono a lavorare in Messico, dove alla frontiera nord, nella città di Tijuana ad esempio, guadagnano sei volte di più che in Honduras.

Il muro alla frontiera che vuole costruire il neo presidente Donald Trump appare quindi sotto una luce diversa.

Ora i migranti si fermano alla frontiera messicana. Negli anni infatti le rotte sono cambiate. “Da tempo i migranti del Centro America che sono la stragrande maggioranza di quanti passano per il Chiapas e il Messico, non hanno gli States come meta finale – racconta padre Rigoni -. Quando sono arrivato a Tijuana passavano la frontiera con gli Usa 1 milione e 600mila persone, l’anno scorso sono stati 330mila. Preferiscono rimanere in Messico, per la lingua, per la razza e poi perché al nord il differenziale salariale è più alto”. Anche Tapachula risente dello spostamento delle rotte: “Siamo ai minimi storici, nei primi due mesi dell’anno abbiamo avuto il 70% dei migranti in meno. Preferiscono la rotta del mare, che non è ancora così costosa e permette di evitare almeno 20 posti di blocco”. Fra l’altro le forze dell’ordine, una volta entrati in Messico, “non ti cercano né ti disturbano -, precisa – ed applicano meno criteri razziali quando fermano le persone per strada”.

Il muro di Trump? “Una sparata”. Secondo il missionario scalabriniano la minaccia di Trump di costruire il muro è quindi “una sparata. Sono già stati costruiti 1200 chilometri e c’è sempre la possibilità di ‘mettersi le ali’, di scavare un tunnel sotterraneo o ricorrere a documenti falsi. Anche gli Stati Uniti conoscono la loro corruzione”. Padre Rigoni non manca di fare un appunto alla presidenza uscente:

“Non dimentichiamo che Obama, con tutte le sue promesse, ha deportato più messicani di qualsiasi altro presidente: 2.8 milioni di persone”.