Mangiar bene per non dimenticare

Da un recente studio, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Patologia Generale e quello di Fisiologia Umana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, sono emersi gli effetti benefici di una dieta equilibrata sulla degenerazione delle capacità cognitive.

Grazie a diverse ricerche svolte nel corso degli ultimi decenni sappiamo che l’alimentazione, in particolare l’aspetto legato alla quantità di calorie assunte, è legata alla longevità di un individuo: più la dieta è sana ed equilibrata più possiamo sperare di vivere a lungo. Ciò che non era ancora noto, almeno fino ad oggi, è l’effetto dell’alimentazione sull’invecchiamento del cervello.

I ricercatori, sperimentando su topi di laboratorio, hanno scoperto che una molecola, denominata CREB1, correlata alla longevità ed al corretto funzionamento del cervello, è attivata dalla restrizione calorica: un diminuito introito alimentare dunque, porta ad un minore invecchiamento del cervello e ad un tasso di degenerazione cognitiva inferiore rispetto agli animali nutriti in modo normale.

Con il termine “restrizione” calorica si intende, in termini sperimentali, che gli animali possono consumare fino al 70 per cento del cibo che assumono quotidianamente. In queste condizioni i topi di laboratorio non sviluppano né obesità né diabete; per contro, mostrano migliori prestazioni cognitive e di memoria, oltre a essere meno aggressivi. Inoltre, presentano un rischio minore o comunque ritardato nel tempo di sviluppare patologie come l’Alzheimer.

Il gruppo della Cattolica ha scoperto che la CREB1, già nota per il suo coinvolgimento in processi come memoria, apprendimento e controllo dell’ansia, media gli effetti sul cervello della restrizione calorica attivando a sua volta un altro gruppo di molecole collegate alla longevità, le sirtuine. A riprova del ruolo della CREB1, si è riscontrato che i roditori che ne sono mancanti mostrano i deficit tipici degli animali ipernutriti.

A supporto dei dati ottenuti dai ricercatori romani viene inoltre anche uno studio condotto dalla Mayo Clinic di Scottsdale, in Arizona. I ricercatori statunitensi hanno scoperto che, in soggetti di età superiore a 70 anni, un introito calorico giornaliero che varia tra le 2100 e le 6000 calorie, porta alla perdita di memoria o ad un deterioramento cognitivo lieve, condizione intermedia tra la diminuzione di memoria dovuta all’invecchiamento ed alla malattia di Alzheimer.