Scienza

Magre da morire: tra i disturbi dell’alimentazione e l’anoressia nervosa

In base agli ultimi studi, pare che l'origine sia duplice: una componente psichiatrica e una metabolica

Tra i disturbi dell’alimentazione – ovvero quei comportamenti patologici caratterizzati un anomalo rapporto con il cibo, da un eccesso di preoccupazione per la forma fisica, da un’alterata percezione dell’immagine corporea e da una stretta correlazione tra tutti questi fattori e i livelli di autostima (pur se con caratteristiche cliniche e psicopatologiche differenti) – l’anoressia nervosa (AN) è sicuramente una delle forme più preoccupanti.

Essa è caratterizzata da sintomi tipici, quali un’estrema magrezza (non di costituzione, ma ricercata volontariamente), una forte paura di ingrassare nonostante si sia in condizioni di sottopeso, l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico, valutato senza obiettività (dismorfofobia), il mancato riconoscimento della gravità delle proprie condizioni fisiologiche.
Secondo i dati ufficiali, in Italia, ogni anno si verificano almeno 8-9 casi di AN su 100.000 soggetti donne (1-2% della popolazione femminile), mentre gli uomini rappresentano soltanto il 5-10% del totale delle occorrenze.

Il tasso di remissione di questo disturbo è del 20-30% dopo 2-4 anni dall’esordio, 70-80% dopo 8 o più anni. Purtroppo, nel 10-20% dei casi, si sviluppa una condizione cronica che persiste per l’intera vita e che, superati certi limiti, può condurre a morte (tra tutte le malattie psichiatriche, infatti, l’AN è quella col più alto tasso di mortalità). L’insufficienza prolungata di nutrienti, infatti, finisce per compromettere l’organismo, alterandone le principali funzioni vitali (endocrine, ematiche, muscolari, digestive e cardiovascolari).

Ma qual è la reale origine di questo disturbo? In base agli ultimi studi, pare che essa sia duplice: una componente psichiatrica e una metabolica. Questo suggerisce in particolare una recente ampia indagine genetica, condotta da un centinaio di scienziati di tutto il mondo, sotto la guida del King’s College London e della Università del North Carolina a Chapel Hill.

In effetti, finora la maggior parte degli studi si era focalizzata sulle (ormai accertate) cause psicologiche e psichiatriche della malattia, legate da una parte a fattori sociali e familiari, dall’altra alla frequente concomitanza dell’anoressia con altre patologie psichiatriche, come i disturbi della sfera ossessivo-compulsiva; le anomalie del metabolismo riscontrate nei pazienti venivano per lo più considerate l’effetto della loro condizione prolungata di malnutrizione.

Questo nuovo studio, al contrario, ipotizza invece che esse possano essere tra le cause dirette dell’AN, insieme a quelle psichiatriche.
Per giungere a tali conclusioni, i ricercatori hanno realizzato quello che – in gergo specialistico – si definisce uno studio di associazione “genome-wide”, ovvero lo studio di tutti (o quasi) i geni di migliaia di individui, allo scopo di evidenziare le variazioni genetiche riconducibili a una determinata malattia. In pratica, il gruppo di scienziati ha analizzato i dati genetici di 16.992 pazienti affetti da AN e 55.525 pazienti sani, provenienti da 17 Paesi (tra Europa, Nord America e Australasia), individuando così 8 regioni cromosomiche collegate alla malattia; il sospetto, però, è che ce ne siano a centinaia.

Si è anche potuto verificare come, in alcune di queste 8 regioni, le varianti genetiche riscontrate siano connesse anche ad altri disturbi psichiatrici (come disturbi ossessivo-compulsivi, ansia, depressione e schizofrenia). Ma a sorprendere davvero i ricercatori è stata la scoperta che altre alterazioni genetiche sono legate invece al controllo del metabolismo, in particolare ai geni che “danno istruzioni” sulla gestione degli zuccheri nel sangue e del grasso corporeo.

Da qui l’ipotesi plausibile che anche il metabolismo abbia un ruolo nella genesi della AN. Resta comunque da scoprire con quale meccanismo ciò avvenga; le alterazioni individuate, per esempio, potrebbero permettere a chi soffre di anoressia di sopportare più lunghi periodi di digiuno, senza che l’organismo intervenga (attraverso segnali chimici) a stimolare l’appetito.
Dunque, appare più chiaro che all’origine dell’AN vi è una rete complessa di fattori psichici e fisiologici. Da questa base occorre ripartire, per rendere ancora più efficaci le terapie già disponibili e svilupparne di nuove.

Maurizio Calipari dal Sir