Ma quale sciopero della benzina: ben vengano le tasse!

È previsto per il 6 giugno lo “sciopero della benzina” indetto dall’Automobile Club d’Italia. La protesta è contro i continui aumenti fiscali che gravano sui carburanti e sull’auto.

Secondo l’ACI, le troppe accise continuano a rappresentare la forma di tassazione preferita dallo Stato perché immediata, ineludibile e senza costi gestionali per l’Erario. Il tutto in un contesto in cui salgono anche le spese per l’assicurazione, le multe (!), la manutenzione, i parcheggi, i pedaggi. In totale, secondo l’ACI, per mantenere un’auto, quest’anno ci vorranno più di 3.500 euro a fronte dei 3.278 del 2011.

Detto in altri termini, ogni macchina si mangia mediamente tre stipendi. Ogni automobilista lavora tre mesi su dodici non per sé o per la propria famiglia, ma per “dar da mangiare” alla macchina. E tutto al netto del prezzo d’acquisto. Sta diventando fin troppo evidente che di ragioni per lasciare l’auto al suo destino ce ne sono anche troppe.

Non a caso, il presidente dell’Automobile Club di Rieti Innocenzo de Sanctis, nel precisare che lo scopo della protesta è «far comprendere al Governo la conseguenza delle scelte compiute sull’auto che stanno mettendo in ginocchio un settore strategico per il Paese», si dice soprattutto preoccupato del calo delle immatricolazioni e dell’«aumento della disaffezione all’uso dell’automobile». In altre parole il piano del discorso è economico e culturale.

Concordiamo: l’automobile è un simbolo culturale e il centro di un sistema economico. È l’essenza della società dei consumi, dello spreco e della sperequazione. Il suo uso è riservato al 20% degli abitanti della terra, i più ricchi. Inquina e consuma risorse naturali per essere prodotta e funzionare. Lo stile di vita legato all’automobile è tra le cause di sanguinose guerre per il petrolio. E ai caduti in guerra si sommano quelli che quotidianamente rimangono vittime delle quattro ruote sulle nostre strade.

L’auto non è solo un mezzo di trasporto che crea congestione e inquinamento. È il fulcro di un vero e proprio sistema di potere. È un intreccio di interessi che coinvolge petrolieri, industria automobilistica e costruttori di strade. È il presupposto per l’espansione urbanistica che rende il territorio a misura di speculazione edilizia e fondiaria.

E allora, se l’aumento del costo della benzina sta contribuendo a debellare la malattia sociale incarnata dall’automobile, ben vengano le accise.

Piuttosto che protestare contro il costo dei carburanti, l’Automobile Club potrebbe invitare a ridurre l’uso dell’auto allo stretto necessario, farsi promotrice di un automobilismo responsabile. Potrebbe contribuire a progetti di nuova urbanistica, sollecitare il potenziamento del trasporto pubblico, invitare le persone a spostarsi a piedi e in bici tutte le volte che è possibile e promuovere l’auto in quelle forme di condivisione (car sharing) che tanto successo hanno fuori d’Italia.

De Sanctis sostiene di non cercare il «muro contro muro» con il Governo, «perché il dialogo è più importante». È giusto, ma il dialogo va cercato su una nuova mobilità, non sul mantenimento dell’attuale. E andrebbe cercato non solo con il Governo, ma innanzitutto con i lavoratori, per escogitare progetti per la riconversione dell’industria dell’auto in qualcosa di meno dannoso.

In questa direzione, «l’efficacia di una risposta corale degli automobilisti» varrebbe assai più di pochi centesimi di sconto sui carburanti.