Scomparse

Luca Serianni e quella giornata di maggio a Rieti

Nel giorno in cui l'Università La Sapienza di Roma allestisce la camera ardente per Luca Serianni, ricordiamo il celebre linguista morto il 21 luglio, che fu ospite lo scorso maggio al Festival della Comunicazione organizzato dalla Chiesa di Rieti

Nel giorno in cui l’Università La Sapienza di Roma allestisce nell’Aula I della facoltà di Lettere e Filosofia la camera ardente per Luca Serianni, ricordiamo il celebre linguista morto il 21 luglio, a 74 anni, dopo essere stato investito sulle strisce ad Ostia. Serianni fu ospite del Pre-Festival della Comunicazione 2022 delle Paoline e dei Paolini, organizzato quest’anno dalla Chiesa di Rieti.

Lo scorso 5 maggio, in un Polo Culturale Santa Lucia gremito di studenti e insegnanti, il professor Serianni tenne una lezione su “Dante e la scuola”. Poi, si propose di tornare di nuovo a Rieti, città che amava molto.

Il ricordo della giornata a Rieti

Perché studiare Dante a scuola? È partito da questa domanda il professor Luca Serianni, per avviare il suo intervento al Pre-Festival della Comunicazione. La lectio di uno dei più famosi linguisti italiani era uno degli appuntamenti più attesi della settimana della rassegna destinata principalmente ai ragazzi. Nella sala del Polo Culturale Santa Lucia colma di studenti di alcune scuole medie e superiori reatine, il dibattito con l’accademico della Crusca è stato talmente partecipato da prolungarsi ben oltre l’ora inizialmemte stabilita. Per la gioia del professore, noto per la pacata empatia e la particolare predisposizione verso il contatto diretto con la platea giovanile.

Al fine di illustrare al meglio questa caratteristica, l’assessore alla Cultura del Comune di Rieti Gianfranco Formichetti, suo collega alla Sapienza, che ha introdotto la mattinata, ha ricordato un curioso aneddoto. Durante la sua ultima lezione da docente universitario del professor Serianni, come affettuoso omaggio dei suoi studenti, sulla lavagna alle sue spalle campeggiava una scritta che parafrasava il sesto canto del Paradiso: E se il mondo sapesse il valor che ebbe/ Insegnando italiano retto e giusto/ Assai lo loda e più lo loderebbe.

Fedele alla sua nota modestia e al suo carattere schivo, il professore ha sorriso sull’episodio, poi è entrato nel tema del suo intervento. Dunque, per quale ragione Dante va studiato a scuola? E quanto Dante è lontano da noi? «Diciamo subito che il suo mondo ideologico, ideale e anche morale – ha spiegato – è inevitabilmente distante da quello che stiamo vivendo noi». Basti pensare ad esempio al posto infimo dell’Inferno che viene assegnato a coloro che si macchiano del peccato di gola, cosa che ai nostri tempi è considerata poco più di una goduriosa caratteristica associata a prodotti prelibati o particolarmente succulenti, ma non certo un peccato morale! «Oppure – ha proseguito il professore – se io vi chiedessi se ritenete sia più grave il furto o l’omicidio, senza alcun dubbio rispondereste e risponderemmo la seconda. Eppure, Dante colloca i violenti contro il prossimo in un girone situato un po’ più in alto rispetto a quello in cui colloca i ladri. Questo perché agli occhi di un uomo medievale il furto era una colpa addirittura considerata più grave dell’omicidio: questo ci dà un’idea di quanto il mondo di Dante sua diverso da quello contemporaneo». Passando per il suo ideale politico, espresso chiaramente nel Purgatorio, in cui manifesta la sua preferenza per un comando unitario tra Papa e Imperatore: una concezione del potere distante addirittura dal sentire della sua epoca.

«Tuttavia – ha proseguito il professore – tutto questo non importa quando ci si accosta ad un testo poetico, siamo molto distanti anche da Omero, che pure continuiamo a leggere. C’è invece un punto nel quale la distanza tra Dante e noi è meno distante da quanto potremmo pensare: e questo punto è la lingua». Eppure, ha ribadito il professore, la Divina Commedia non è certo un testo facile, da leggere tutto d’un fiato senza alcun supporto che accompagni nell’individuazione dei tanti riferimenti che Dante lancia. «I riferimenti possono essere opinabili, in alcuni casi si parla si scuole di pensiero diverse, ma la lingua usata si presenta come abbastanza vicina alla nostra».

Per spiegare meglio ai ragazzi, e far sì che la lezione sia compresa in modo semplice e fruibile, Serianni ha proceduto a fare esempi particolarmente significativi. «Ci sono alcune parole che Dante usano modo diverso in base a come le usiamo noi. Pensate alla parola “ragazzo”. Intanto, il femminile ai tempi di Dante non esisteva proprio, tanto che il termine “ragazza” fu utilizzato intorno al 500: prima, si diceva principalmente fanciulla. La parola “ragazzo” usata nella Commedia sta invece ad indicare un “mozzo di stalla”, ovvero una persona addetta alla cura del cavallo o ad altri animali”.

Ma anche l’utilizzo del termine “bambino”, che pure all’epoca era in uso, non è mai utilizzato dal poeta, mentre ci sono tante parole spesso utilizzate da Dante quasi con lo stesso significato che oggi attribuiamo noi». Basti pensare al caso di amare, o di amore. «Le usa come facciamo noi, da intendersi come attrazione fisica o mentale per una persona, come nel caso di Francesca da Rimini, oppure declinato nell’amore coniugale citando Ulisse e Penelope, oppure come amore per i libri e la cultura, come confiderà a Virgilio». Ma con qualche eccezione. Dante utilizza la parola amore anche per dimostrare l’apprezzamento verso un amico, come nel caso dell’incontro con Carlo Martello, mentre noi certamente sceglieremmo la parola affetto. Di esempi simili, durante la mattinata, il professor Serianni ne ha fatti molti, tutti assolutamente calzanti e ben compresi dai ragazzi.

«Certamente Dante è anche l’inventore del dialogo, visto che nella Commedia ce ne sono molti, compresi di tutte le caratteristiche espressive che il dialogo presenta. Sono presenti in maggioranza nell’Inferno, rispetto al Purgatorio e soprattutto al Paradiso, dove i beati fanno invece lunghi discorsi di approfondimento teologico».

Ma non solo lingua. Com’è proprio della poetica dantesca, che abbraccia i temi più svariati, dalla musica alla storia, dai sentimenti all’etica, la mattinata trascorsa con il professore Serianni ha permesso ai ragazzi di nutrirsi non solo di cultura letteraria, ma di tornare a casa con un bagaglio pieno fino all’orlo di una lezione di vita.

Viste le risposte semplici, chiare ed esaustive, il professore è stato destinatario di una gran mole di quesiti finali, dei quali lui stesso è rimasto stupito: «È la parte più bella del mio lavoro. Quando vedi i ragazzi superare quella prima cortina di imbarazzo e poi li percepisci incuriositi e partecipi, capisci che gli insegnanti hanno fatto bene la loro parte. Serberò un ricordo davvero piacevole di questa giornata trascorsa a Rieti».