Sabina Universitas

L’ordine degli Ingegneri sulla Sabina Universitas: «è giunto il momento delle decisioni»

Il Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Rieti, Vitaliano Pascasi, sulla Sabina Universitas: «le incertezze sul futuro e sulla permanenza a Rieti dell’Università e del suo indotto sembrano prendere più corpo»

Il quadro che si sta dipingendo negli ultimi mesi della città e sulla provincia di Rieti sembra essere un quadro dalle tinte fosche e a soggetto triste. Ricorrono numerosi, sulla stampa locale, gli appelli alla città, alla politica e alla società civile per sensibilizzare e muovere chi di dovere in un esercizio di intelligenza e di programmazione che possa dare nuovo slancio ad un territorio dormiente e avvolto da una nebbia sociale ed economica che da anni si è ormai stratificata su di noi.

Una nebbia che sembra non voler più abbandonare un territorio martoriato dagli ultimi eventi sismici, da una crisi economica che non risparmia nessuno, da una mancanza di visione e progettualità e da una depressione cronica che ha bisogno di cure immediate.

Eppure Rieti e la sua provincia sono territori ricchi, ricchi di risorse storico artistiche, culturali, ambientali e soprattutto di ingegno e capacità imprenditoriali, spesso però costrette ad abbandonare la propria terra natia per far germogliare lo stesso ingegno altrove, protagonisti ad alti livelli e in ogni campo.

Per capire come mai si è arrivati a questo punto, non basta giustificarsi facendo appello ad una crisi che ormai pervade la Nazione, l’Europa e il mondo intero, ma bisogna analizzare la storia di Rieti e del suo territorio provinciale, nato peraltro più per necessità politico-amministrative che per vicinanze sociali e culturali. Un territorio, quello della Provincia di Rieti, vasto e disomogeneo, fatto di popoli che non hanno mai trovato affinità tra loro e non hanno ancora sciolto i grumi di particolarismi che inevitabilmente moltiplicano esponenzialmente le difficoltà.

Non sono nato a Rieti ed ho vissuto la mia infanzia e prima adolescenza a Milano insieme ad una famiglia che allora, primi anni settanta, era una famiglia di emigranti come tante. Nonostante le ovvie difficoltà ed il periodo storico di allora (crisi economica, brigate rosse, attentati e tensioni sociali) posso dire di aver vissuto una adolescenza spensierata e di essermi ben integrato nel tessuto sociale di quella metropoli, Milano, allora veramente “nebbiosa”.

A dodici anni sono tornato a Rieti con la mia famiglia; la sindrome dell’emigrante vince sempre e colpì inevitabilmente anche noi. Non nego di aver sofferto molto per il distacco dalle amicizie d’infanzia e per aver dovuto abbandonare un mondo “ricco” di opportunità e di prospettive. Ho scoperto Rieti in bici, girando per vicoli e campagne, ma mi sono accorto subito delle differenze e di quanto fosse difficile integrarsi in un tessuto sociale borghese e spesso refrattario alle novità e ai cambiamenti.

Era il tempo della “Cassa del Mezzogiorno” con grandi aziende che davano lavoro e opportunità a tutti, era il tempo di una ASL e di un ospedale all’avanguardia, era il tempo del grande basket, era il tempo di una caserma “CAR” che portava nella città migliaia di soldati al mese, era il tempo di un piano regolatore che auspicava una crescita demografica da grande città. Ma era anche il tempo delle occasioni perse come la clinicizzazione dell’ospedale, mai fatta a causa della paura di aprirsi ad un mondo, quello universitario, che avrebbe potuto mettere in discussione potentati ed opportunità localistiche, il “festival dei due mondi”, inizialmente studiato per Rieti e poi finito a Spoleto, la realizzazione della ferrovia dei due mari sempre annunciata ma mai realizzata, il raddoppio della salaria per aumentare le capacità infrastrutturali e ricettive di un territorio che aveva i numeri per una crescita veloce e a misura d’uomo.

Era il tempo, perché il tempo consuma le vite e le occasioni. In economia e nel modo degli affari si usa dire “oggi è già ieri”.

“Ieri” è arrivato e nulla sembra smuovere gli animi e le idee. Affronto il tema, problema, della Sabina Universits di cui come Ordine degli Ingegneri siamo soci insieme a più importanti amministrazioni ed enti. Già in più occasioni ho espresso il mio pensiero in merito, ma ormai le incertezze sul futuro e sulla permanenza a Rieti dell’Università e del suo indotto, sembrano prendere più corpo. L’impegno, economico e non solo, profuso dalla Fondazione Varrone incomincia a vacillare e non bastano più le proclamazioni d’intenti di chi dovrebbe e potrebbe continuare a sostenere il progetto. I bilanci del Consorzio non si reggono con le chiacchiere, ma con i “denari”. E’ dunque giunto il momento delle decisioni ed è giunto il momento di capire cosa fare per riempire di nuovi contenuti il Consorzio Sabina Universitas dandogli magari nuova veste oppure, e mi auguro non avvenga, lasciare che gli eventi travolgano inevitabilmente una opportunità di crescita e rivitalizzazione per la città e il nostro territorio. Un nuovo appello ad una città che merita il meglio e un futuro prospero, perché Rieti è pur sempre il “centro d’Italia”.