Lo spreco? C’è anche nella Chiesa

Quand’è che si spreca? Quando si ha troppo. E le esigenze sembrano aumentare, così pure i servizi che si ritiene di dover dare e di dover ricevere. È accaduto nella società civile e nelle nostre famiglie, e accade ed è accaduto anche nella Chiesa.

Quando un piccolo centro riusciva ad ottenere – magari per intercessione di qualche politico – l’ufficio postale o qualche altra piccola risorsa gli sembrava di aver vinto chissà quale battaglia. Quando in un piccolo paese disabitato si riesce a far restare il parroco, magari per poche persone, si pensa di aver ottenuto un supplemento di vita e di vitalità e ci si illude di essere importanti.

Questo modo di ragionare ha ormai fatto il suo tempo; è troppo costoso in tutti i sensi: economici, di risorse umane, di capacità di allocare energie significative, di frutti e risultati.

I servizi vanno dati dove c’è bisogno sì, certamente, ma soprattutto se quelle forze saranno ben impiegate, ben distribuite.

Aver sguarnito, al contrario, intere contrade di certi servizi, per concentrare tutti in città, senza poi attribuire precisi compiti e senza chiedere risultati quantificabili e apprezzabili, non ha risolto il problema, ma lo ha aggravato.

La lettera-bomba del Vescovo di Foligno è da interpretare anche in questo senso. Sembra dipingere un clero omologato, perché è valida pure per quello reatino e forse anche per quello di altre diocesi.

Un clero che si è assestato su posizioni di quando c’erano la vacche grasse e per lo più “absolutus” cioè sciolto da ogni vincolo e da ogni regola.

Sono detonanti le denunce del presule umbro relative al modo di “trasferire le chiamate” alle pompe funebri, per dire che si sospetta – ma il sospetto è quasi certezza – che vi sia un interesse economico “personale” del sacerdote nei funerali. Che vi sia una certa confusione tra il bilancio personale e quello della parrocchia. Che vi sia spreco di tempo per fare cose inutili, tempo sottratto perfino alla preghiera e alla meditazione che per i credenti non è spreco ma ottimizzazione massima.

La lettera del Vescovo Sigismondi è stata un pugno nello stomaco pure per chi certe cose le intuisce da tempo, ma è anche una gemma, perché scritta da chi i problemi li conosce, forse in parte li vive e li ha vissuti, e si chiede il senso di ciò che si fa tirando fuori moderatamente le unghie perché ha capito che si deve invertire la rotta.

Più di tutto non deve essere assolutamente sprecato il tempo. Risorsa da non sciupare e da non lasciar correre invano. Il tempo per pregare, per promuovere iniziative, per proporre, per dialogare, per argomentare e per cambiare soprattutto modalità ormai superate di fare pastorale, tempo per incontrare e ascoltare la gente, i bisogni e le attese; rispondere a domande che ci si pone nella quotidianità della vita e non a ciò che non ci si domanda.

I tempi che corrono suscitano sfide ad ogni pie’ sospinto, che vanno affrontate con una pluralità di conoscenze e competenze, che le parrocchie devono saper offrire, avendole prima raccolte, acquisite, vagliate.

La lettera di mons. Sigismondi è una preziosa “summa” di ciò che urge fare al clero e con il clero; una sorta di lista che contiene non certo suggerimenti facoltativi ma imperativi categorici, pur se proposti con ironia paterna e comprensiva.

Quelle modifiche del Vescovo di Foligno sono urgenti e altro tempo non va sprecato, pena la completa desacralizzazione della classe sacerdotale che la renderà ancor più irrilevante nel contesto attuale, e con essa l’intera organizzazione pastorale locale.

Neppure ci si può rassicurare che il Papa attuale farà recuperare punti alla Chiesa e quindi si riempiranno le chiese: la gente sceglie, questo sì, quest’altro no. Non spreca più neppure il tempo che vuole dedicare alla meditazione, alla formazione cristiana e alla preghiera. E tutti i torti non gli si possono dare, anzi è fin troppo giusto che sia così.