L’insostenibile pesantezza del noir

Nella cronaca nera, pochi giornalisti e troppi opinionisti. Addio verità…

Di fronte a un omicidio è naturale – e, anzi, auspicabile – il desiderio di identificare al più presto il colpevole e assicurarlo alla giustizia, per metterlo in condizioni di non nuocere più e per fargli scontare la pena per un reato così grave. Ma questo non giustifica le fughe in avanti dei media e le affermazioni avventate dei personaggi pubblici.

Quando è stato fermato l’uomo sospettato di essere l’assassino di Yara Gambirasio, il ministro Alfano ha ritenuto di doverne dare notizia al mondo parlando esplicitamente di una colpevolezza che, in realtà, è ancora da dimostrare lasciando che la magistratura faccia il suo corso.

La televisione e gli altri media, come è già stato opportunamente sottolineato anche dal Sir, hanno prontamente colto la palla al balzo della notizia, riempiendo telegiornali e pagine di immagini, indizi, ricostruzioni, pesanti intrusioni nella privacy di tutti i protagonisti della vicenda, anche quelli apparentemente più lontani.

Lo stesso fenomeno è avvenuto per la strage di Motta Visconti, dove un uomo ha ucciso la moglie e le figlie in seguito a un raptus determinato, pare, da questioni di cuore. In questo secondo caso, il colpevole è reo confesso, ma questo non giustifica l’accanimento mediatico continuo, a base di sensazionalismo ed emozioni di facile presa.

In generale, i due recenti casi riaprono un annoso problema: il modo in cui la televisione, le testate giornalistiche e i media in genere si occupano della cronaca nera. Il panorama nostrano non è confortante. Sul piccolo schermo abbondano trasmissioni che trasformano qualunque racconto in una rappresentazione che gioca soprattutto sull’effetto spettacolare. E le modalità narrative tipiche dell’infotainment (informazione + intrattenimento) non aiutano lo spettatore a capire cosa è vero e cosa è soltanto un’ipotesi.

Ad aumentare la possibilità di confusione fra la realtà e la sua rappresentazione contribuisce il fatto che spesso i conduttori dei programmi di approfondimento che speculano sulla cronaca nera o giudiziaria sono giornalisti. In quanto professionisti dell’informazione, sarebbero deontologicamente tenuti – qualunque sia il contesto della loro opera – a trasmettere al pubblico soltanto le notizie dimostrate e dimostrabili, distinguendo nettamente i fatti dalle interpretazioni. E invece…

Se n’è accorto anche l’Ordine dei Giornalisti, la cui Consulta dei presidenti e dei vicepresidenti ha diffuso proprio in questi giorni una comunicazione formale ad hoc: “Alla luce delle numerose violazioni delle carte deontologiche, riscontrate nei recenti episodi di cronaca nera, l’Ordine si impegna ed impegna i relativi Ordini professionali regionali a monitorare attentamente i servizi dei colleghi di carta stampata, radio, televisione ed internet, per rilevare i numerosi sconfinamenti dei diritti alla riservatezza dei minori e di tutte le persone estranee ai fatti in questione”.

Con altrettanta chiarezza, l’organismo di categoria cita esplicitamente una “spericolata leggerezza nel trattare argomenti sensibili e di forte impatto sociale”, che rende indispensabile il “forte richiamo alle regole deontologiche” per evitare il ripetersi di “veri e propri attentati alla pertinenza e correttezza dell’informazione”. Per questo, “le violazioni che si sono verificate, e che eventualmente si dovessero verificare, saranno segnalate ai competenti Consigli territoriali di disciplina”. Come destinatari dell’informazione, facciamo la nostra parte: vigiliamo sul rispetto delle regole e, prima ancora, delle persone.