L’impotenza rende nullo il matrimonio?

Nel matrimonio i coniugi instaurano un rapporto affettivo che richiede anche la specifica attitudine ad unirsi fisicamente, in modo da formare, anche sotto l’aspetto corporale, una sola carne. La mancanza di questa capacità viene detta impotenza e l’esistenza in capo ad uno dei due coniugi non consente di dare vita ad un valido matrimonio.

L’impotenza coeundi è quindi un impedimento di diritto naturale che non potrà essere mai dispensato e che, in nessun caso si verifichi, consente la celebrazione di una valida unione coniugale. L’incapacità all’unione sessuale si valuterà all’interno del concreto rapporto di coppia: potrà allora essere assoluta, qualora non consenta alla persona di avere rapporti con un altro soggetto; o relativa, nel caso in cui si manifesti soltanto nei confronti del coniuge. L’impotenza può essere di origine psichica o fisica, ed in entrambi i casi, affinché sia considerata un vero impedimento dirimente, dovrà essere antecedente e perpetua. Per l’antecedenza si fa riferimento alla sua sussistenza in capo al soggetto prima della prestazione del consenso, deve cioè esistere all’atto della celebrazione; la perpetuità, invece, attiene ad una incapacità che si svolge durante tutta la vita coniugale senza soluzione di continuità. Accertare la presenza di tali requisiti è spesso problematico; ci si servirà allora, durante il procedimento canonico, di testimoni e perizie che aiutino i giudici a comprendere la verità, ferma comunque restando la presunzione, ammessa dalla costante giurisprudenza, di ritenere l’impotenza antecedente nel caso si verifichi già al primo tentativo di rapporto coniugale. La valutazione della perpetuità viene sempre lasciata al perito medico che nel suo rapporto terrà conto dell’esistenza o meno di una eventuale possibilità di guarigione, tale però che non metta in pericolo la salute del soggetto. Diversa dall’impotenza è la sterilità (incapacità a generare la prole) che di per sé non costituisce impedimento all’unione coniugale. Nella legislazione attuale si ribadisce che il matrimonio canonico è ordinato alla procreazione ed educazione della prole, ma anche che il consortium totius vitae che gli sposi pongono in essere è, per sua stessa natura, fonte di reciproco arricchimento e perfezionamento. Nella Costituzione Gaudium et Spes n. 50 si legge infatti «Il matrimonio non è stato istituito soltanto per la procreazione […]. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto desiderata, non c’è, il matrimonio perdura come consuetudine e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità». L’incapacità di generare, quindi, di per sé non ha alcun rilievo ai fini della nullità matrimoniale, a meno che non costituisca un vizio del consenso (errore o dolo) ovvero se sia posta come condizione al matrimonio. Inoltre se è vero che la mancanza di prole dovuta ad incapacitas generandi non pregiudica la validità del matrimonio, è altrettanto vero che, nel caso in cui ci sia il rifiuto di mettere al mondo dei figli da parte dei coniugi, siamo di fronte ad un matrimonio nullo, in quanto la volontà delle parti priverebbe in modo del tutto arbitrario la loro unione di un elemento essenziale, originando pertanto un matrimonio diverso da quello voluto da Cristo.