Marcia Francescana

L’esperienza di essere perdonato si compie al passo lento di Francesco

Nel tardo pomeriggio del 2 agosto a Poggio Bustone, monsignor Pompili ha presieduto l’Eucaristia, concelebrata con i sacerdoti che accompagnavano i giovani partecipanti alla marcia francescana

Senza quello di Poggio Bustone, non avremmo il Perdono di Assisi: lo ha ribadito anche quest’anno, il vescovo Domenico, nel celebrare l’Eucaristia nel prato del convento di San Giacomo, ai piedi di quell’eremo in cui, oltre ottocento anni fa, Frate Francesco il perdono di Dio, che in seguito avrebbe donato a tutti ottenendo dalla Chiesa l’indulgenza della Porziuncola, lo aveva personalmente sperimentato.

Nel tardo pomeriggio del 2 agosto, all’altare edificato da padre Giuseppe ai piedi della statua del Sacro Cuore di Gesù, monsignor Pompili – che a ottobre scorso, durante i festeggiamenti dell’Ottobre Francescano, lo aveva benedetto – ha presieduto l’Eucaristia, concelebrata col parroco del paese padre Ezio Casella e con i sacerdoti che accompagnavano i giovani partecipanti alla marcia francescana.

È sui sentieri del “Cammino di Francesco” che attraversano la valle reatina, infatti, che una sessantina di ragazzi di Lazio e Abruzzo legati all’esperienza francescana, accogliendo l’invito della pastorale giovanile e vocazionale della Provincia minoritica San Bonaventura, hanno vissuto la giornata in cui il Poverello, per festeggiare la Madonna degli Angeli titolare della “Porziuncola” ai piedi di Assisi, ebbe da Onorio III il dono speciale della remissione completa di ogni pena per l’anima dei peccatori pentiti. Partiti di buon mattino dal santuario della Foresta, hanno raggiunto il pomeriggio quello di Poggio Bustone, unendosi ai fedeli del luogo e altri reatini che hanno voluto raggiungere il convento poggiano, alcuni salendo anch’essi a piedi, con un tragitto più breve, partecipando alla “marcia del perdono” partita dalla frazione San Pietro.

A loro, a chi aveva camminato, si è rivolto in particolare il vescovo nel saluto introduttivo della Messa: a chi si è voluto fare pellegrino «con un passo lento, come quello di Francesco», che lì all’eremo poggiano fece «l’esperienza di essere perdonato», ricevendo da Dio l’assicurazione che la sua misericordia, rispetto alla vita dissoluta che si era lasciata alle spalle, non conosceva limiti.

Dunque il Perdono per Francesco «nasce non nella Porziuncola che per noi è il simbolo di questo decisivo passaggio, ma nasce proprio qui» ha poi tenuto a sottolineare monsignore nell’omelia, ricordando le parole con cui Tommaso da Celano nella Vita prima descrive questa irripetibile esperienza vissuta dal santo.

Il perdono, ha spiegato don Domenico, significa «uscire dall’angoscia del peccato che ci fa sentire come definitivamente falliti ed avere la certezza di essere perdonati». Perdono: oggi «merce diventata rara», ha detto il vescovo, in una società «apparentemente tollerante ma in realtà priva della misericordia». Il motivo sta nella mancanza del «senso del peccato» mentre «si fa strada la logica del capro espiatorio: la colpa è sempre degli altri, e poiché nessuno batte il proprio petto la tendenza di tutti è quella di rivolgere l’attenzione sempre in direzione del prossimo». Del tutto diversa, invece, «la scelta definitiva che fa Francesco nel 1209: ripartire da sé. Prima ancora di cominciare a contestare ciò che non va nell’altro, Francesco mette sé stesso in discussione. E qui fa l’esperienza che il peccato che egli ha fatto può essere perdonato».

È davvero grande quel che il cuore del penitente di Assisi sperimenta a Poggio Bustone: innanzitutto, «sente di essere di essere il fratello di tutti». Partendo da questa idea di fraternità così «supera la mentalità manichea di dividere il mondo tra “noi “ e “gli altri”», riuscendo in questo modo a «vincere il male con il bene che è Dio».

Francesco «fa sua quella sapienza “del bell’amore”» di cui parla il Siracide, nel brano risuonato come prima lettura della liturgia: «una sapienza in grado di leggere gli avvenimenti della storia in modo tale da esprimere su di essa non tanto un giudizio, quanto piuttosto il sentimento della compassione». Nel sentirsi fratello, egli comprende che ciò che conta «è promuovere uno sguardo verso l’altro che non si limiti al giudizio, che tende in qualche modo a eliminare l’altro percependolo come un avversario, ma che sia invece in grado di manifestarsi come compassione».  E anche il celebre saluto del Poverello ai poggiani, in un tempo in cui la zona era in gran parte infestata di briganti, lo fa capire bene, ha detto Pompili: quel “Buongiorno buona gente” manifesta la volontà di andare oltre il giudizio: egli «essendosi scoperto fratello sa che in ciascuno è possibile tirar fuori o l’uomo o il lupo». Dietro quel celebre “fioretto” del lupo di Gubbio (o secondo alcuni di Greccio) «c’è in fondo questa intuizione: a seconda di come noi ci rapportiamo con gli altri, se li condanniamo o se abbiamo invece un atteggiamento di integrazione, gli altri cambiano» e i “lupi” possono ammansirsi: riuscendo a superare, così, «quella guerra fratricida che ai suoi tempi non finiva mai». Anche oggi la nostra generazione, in una società apparentemente globalizzata e senza confini, «in realtà è fortemente condizionata da forme di neo-manicheismo», con la continua tendenza «a distinguere le persone in “buoni” e “cattivi”». La lezione di Francesco, allora, è proprio a cogliere nella fraternità «il legame più forte che ci sia».

Il punto di riferimento, in questa prospettiva nuova, è Maria, sotto lo sguardo della quale Francesco istituì il Perdono d’Assisi. Lei, ha messo in evidenza il vescovo in riferimento al brano evangelico dell’annunciazione, appena risuonato, è «l’immagine più convincente di come lo stato di grazia renda la persona umana capace di sperimentare questo riconoscimento da parte di Dio che la fa sentire viva». Dalle parole dell’angelo Maria «si sente amata, riconosciuta ed apprezzata. Ed è questo quanto consente a lei di offrire la propria vita nel servizio più radicale e più importante». Una grande esperienza di grazia che è l’eredità che san Francesco continua a lasciarci.