Le lacrime e il sorriso

Le parole di Francesco: “L’umanità ha bisogno di piangere”

“…l’umanità ha bisogno di piangere…”: hanno sorpreso queste parole di Papa Francesco a Redipuglia, non le si attendeva anche se quel luogo, dove è tenuta viva la memoria di una inutile strage, ispira pensieri dolorosi. Sono parole impreviste, sorprendenti e inquietanti.

La cronaca mette ogni giorno di fronte alle lacrime di bambini, donne e uomini trascinati nel vortice della violenza, dell’atrocità, dell’umiliazione nelle proprie terre e nelle proprie case.

Ai bordi della cronaca c’è chi si chiede se sia segno di professionalità diffondere immagini catturate senza troppo rispetto della fragilità e passar sopra la dignità di una persona che piange.

Le parole del Papa invitano comunque a un’altra riflessione.

Le lacrime sono state cancellate dal vocabolario di una società e di una cultura intrise di certezze e sicurezze. Questa società e questa cultura non ammettono fragilità e coloro che le esprimono vengono confinati nel recinto dei deboli, dei perdenti, degli inutili, dei fuori gioco. Non c’è posto per gente che piange. È gente da scartare.

Papa Francesco propone una direzione totalmente altra. Va al significato autentico del piangere e invita a leggervi un’espressione profonda della tenerezza dell’uomo che si congiunge alla tenerezza di Dio.

C’è un’immagine che potrebbe riassumere questo significato. È quella dell’approssimarsi di due dita nell’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina: in modo stupendo l’artista racconta il cercarsi di due tenerezze.

Quel magnifico dipinto si riproduce spesso in quadri di vita quotidiana che non sfuggono a chi cammina ai bordi della cronaca.

Occorre uno sguardo sulla realtà che non sia solo quello degli analisti e degli esperti. Occorre uno sguardo umano, capace di scoprire il pianto come un compagno di un viaggio interiore che conduce l’uomo alla soglia della speranza e lo aiuta a varcarla.

La cronaca mediatica non racconta né potrebbe raccontare questi viaggi: c’è un’altra cronaca che scorre accanto, silenziosa. Non è scritta sulle pagine dei giornali ma è leggibile nella vita delle persone, delle famiglie, delle comunità. Bisogna stare con la gente per accorgersi che il pianto, anche senza lacrime, è un’esperienza invisibile più diffusa di quanto si possa pensare.

Non si tratta di piagnistei, di depressioni, di cedimenti psicologici. Si tratta di un esercizio del cuore e della mente per ricomporre i pezzi di un’umanità lacerata.

Il Papa coglie nel segno nel dire che “l’umanità ha bisogno di piangere”. Ma è lo stesso Papa a chiedere di annunciare la gioia del Vangelo.

Come è possibile piangere e insieme gioire? Le risposte sono nella vita e nel pensiero. Lo scrittore e poeta francese Paul Claudel ricorre all’espressione “lacrime di gioia” per dire che quando nell’uomo il limite incontra l’infinito le lacrime non vengono asciugate ma si uniscono al sorriso: camminano insieme.

Ai bordi della cronaca questi pensieri arrivano a frotte e fanno nascere domande sullo spessore di umanità della nostra società e anche della nostra comunità cristiana.

“…l’umanità ha bisogno di piangere”: le parole del Papa scuotono entrambe.

Sembrano del tutto fuori dalla realtà, sembrano solo mosse dall’emotività e dai ricordi di tanto male subito e provocato.

Sembrano parole da dimenticare in fretta. Il tempo del pianto deve durare molto poco, non più dei pochi minuti dedicati a una visita al cimitero. La cronaca ha ben altro da inseguire.

Eppure ai bordi della cronaca si avverte ogni giorno l’incontro e lo scontro tra il tempo del piangere e il tempo del gioire. È però il dialogo tra il pianto e la gioia a dare il sapore dell’eternità alla vita dell’uomo.