La Regione Lazio e la favola delle guardie e dei ladri

Gli scandali della Regione Lazio agitano la Rete. Come un sensibilissimo sismografo, i social network restituiscono con accuratezza umori e malumori. E non è una funzione passiva: l’interazione, lo scambio, il contatto on-line, contribuiscono a diffondere informazione, a fare opinione, a costruire giudizi. Blog e reti sociali sono diventati quasi indispensabili nell’universo della vita di relazione. Di conseguenza occupano sempre più spazio nell’orizzonte politico.

Il “prodotto” Beppe Grillo della Casaleggio Associati è un caso è da manuale. I Movimenti Cinque Stelle e i gruppi indipendenti che ne adottano la lezione sono sempre più numerosi. L’idea di fondo è che la rete può mettere in comunione i bisogni, i saperi e i talenti dei cittadini. Può dare forma a una sorta di intelligenza collettiva, più onesta e capace della «vecchia politica» nel risolvere i problemi.

Il movimento «dal basso», supportato dalla rete è certamente la novità più rilevante degli ultimi anni. I partiti non godono di buona salute: persino gli esponenti di primo piano sono personaggi di una inarrivabile mediocrità. La protesta in rete – anche se raramente è intelligente – contribuisce a raddrizzare il tiro della vita amministrativa.

Ciò nonostante va coltivato un certo sospetto attorno al fenomeno. È mosso dall’idea del cittadino contro la politica. Da un lato gli onesti, quelli che pagano le tasse, che amano l’ambiente, che dispongono le «buone pratiche» a vantaggio di tutti. Dall’altro i ladri, quelli che godono il privilegio, che frenano il progresso per il proprio tornaconto.

È una analisi poco convincente. I problemi prendono una dimensione infantile, quasi che la società si possa ridurre ad un gioco tra “guardie e ladri”. Il ruolo del “cittadino” pare risolversi nel mito della democrazia elettronica. Il network, inteso come dimensione orizzontale, senza gerarchie, nel quale «ognuno conta uno», dà vita ad un universo banale e indifferenziato. Ci saranno pure da superare le vecchie categorie di destra e sinistra, ma scambiarle con l’alternativa tra virtuosi e viziosi non sembra un buon affare.

Nel giocare la partita sui piani della moralità, della legalità e del “bene comune” si tende a nascondere o annullare la contraddittorietà degli scopi e dei bisogni dei gruppi sociali. Si disconoscono i rapporti di forza realmente esistenti nella società. Si dimentica la storia, la condizione e la cultura di ognuno.

In fondo per il marketing politico “alla Casaleggio” il mondo va bene com’è. Piuttosto che dare conto della complessità, questa nuova ideologia propone di risolvere i conflitti tra le diverse istanze in un unico grande scontro tra amministratori e amministrati. Ma è uno scontro di retroguardia, che sul vero campo di battaglia non ci arriva nemmeno.

I bisogni comuni a tutti i cittadini, sui quali l’antipolitica da social network vorrebbe fondare la nuova era della vita democratica, sembrano un po’ troppo ristretti. La logica a cinque stelle, puntando all’opposizione tra buoni e cattivi – o peggio tra vecchio e nuovo – è inadeguata alla realtà. Va bene il giudizio morale, ma se si vuole cambiare la direzione di una società occorre almeno una ricognizione delle dinamiche che hanno prodotto il suo stato attuale.

Purtroppo, invece, sembriamo ormai incapaci di riconoscere come tali anche le forme più elementari del conflitto sociale. È possibile che le vecchie categorie non raccontino più la realtà dei fatti, ma qualcosa di simile alle classi sociali continua ad esistere indipendentemente dal riconoscimento delle formazioni politiche e perfino dalla consapevolezza dei propri stessi membri.

Forse il concetto della lotta di classe è passato di moda troppo in fretta. Se lo adeguassimo ai tempi ne potremmo trarre un utile punto di vista per la comprensione delle dinamiche socio-economiche contemporanee. Rimane un importante motore della storia anche quando non si vede o non si riesce a leggere.

Senza tenerne conto il rinnovamento sperato non ci sarà. Falsando la lettura delle più elementari dinamiche conflittuali che si impongono nella società, l’indignazione e la partecipazione si tradurranno in una rabbia impotente, in un metodo senza scopo. Ad essere virtuosi forse ci si quieta la coscienza, ma non si cambia di una virgola la subalternità degli ultimi.