La pillola (contestata) dei 5 giorni dopo come farmaco da banco

L’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, ha dato il via libera definitivo alla vendita come “contraccettivo d’emergenza”. Decisivo il ripensamento dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, che ha superato i dubbi sull’abortività. Iniziativa della Sipre, Società italiana procreazione responsabile, con il suo presidente Bruno Mozzanega: istanza all’Aifa sulla base del rischio di “effetti antinidatori”.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di venerdì scorso, la pillola dei 5 giorni dopo è ormai reperibile in ogni farmacia e, per le maggiorenni, sarà richiedibile come farmaco da banco, quindi senza ricetta. Praticamente alla stregua di un antidolorifico o di un callifugo. La comunicazione formale della delibera dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, dà infatti il via libera definitivo alla vendita di questa pillola, presentata come “contraccettivo d’emergenza” e utilizzabile fino a 5 giorni dopo il presunto concepimento, posta in libera disponibilità di chi ne vorrà fare uso. Una decisione discutibile, se si pensa che il principio attivo del prodotto è lo stesso di quello della pillola abortiva Ru486 e che la potenziale abortività di EllaOne è oggetto di più di uno studio scientifico. Principio ancor più contestabile, se si pensa che per la pillola anticoncezionale classica, molto meno invasiva, serve la prescrizione medica e una serie di analisi che il medico scrupoloso non può evitare di chiedere alla paziente prima di disporre l’assunzione del farmaco.
La decisione dell’Aifa arriva anche a seguito di un provvedimento dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, che con un ribaltamento di fronte e di posizione, dopo aver sostenuto nel 2009 gli effetti abortivi dell’Ulipristal acetato (il composto chimico alla base del prodotto), sei anni dopo lo ha invece derubricato e sdoganato. Contro questo provvedimento si erano levate da più parti voci critiche che evidenziavano la contraddittorietà delle decisioni prese. In particolare, Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associazione medici cattolici (Amci), aveva ripetutamente preteso “una riflessione approfondita su questa materia che consideriamo di eccezionale importanza per la tutela della vita sin dal suo naturale esordio”. Questo perché non è scontato che i contraccettivi d’emergenza prevengano l’ovulazione: quando vengono assunti nei giorni più fertili del ciclo mestruale, intercettano e bloccano l’annidamento del concepito. Sono quindi “antinidatori”: impediscono l’azione del progesterone, l’ormone che – come dice il nome – favorisce la gestazione, ostacolandone il normale effetto di preparazione dell’endometrio. Così il concepimento può verificarsi, ma l’embrione non trova l’utero pronto ad accoglierlo inducendo un effetto abortivo. Stante questa concreta possibilità, il nostro Paese aveva introdotto la necessità di fornire un test di gravidanza negativo prima di poter ottenere la pillola dei 5 giorni dopo.
In una situazione in cui non vi è certezza assoluta sull’azione del composto, dovrebbe valere sempre il principio di precauzione. Per questo, il Ministero della salute, a seguito di un’interpellanza nel merito da parte dell’on. Gian Luigi Gigli, era ricorso al Consiglio Superiore di Sanità per ottenere un parere dirimente. In particolare aveva posto il quesito “se per il farmaco ellaOne si potessero escludere effetti antinidatori”. Il Css in un documento reso noto dalla Sipre (Società italiana procreazione responsabile) e disponibile sul sito www.sipre.eu risponde chiaramente che “non si possono escludere effetti antinidatori”. Nonostante questa indicazione l’Aifa ha statuito per la libera dispensabilità del prodotto invocando proprio il recepimento della direttiva europea.
Bruno Mozzanega, presidente della Sipre, ha presentato all’Aifa un’istanza per chiedere ragione di tale decisione che presenta più di un’anomalia. A partire dall’aver deliberatamente ignorato il parere qualificato e determinante di un organismo pubblico. Inoltre, la ratifica delle disposizioni dell’Ema da parte del nostro Paese non è affatto così automatica. Gli Stati membri dell’Unione europea hanno la possibilità di non adeguarsi alle direttive che contrastino con le legislazioni nazionali in materia di aborto e contraccezione. Sulla base della documentazione scientifica quindi era ampiamente possibile dire di no. La scelta è andata invece in direzione opposta, lasciando molti interrogativi da chiarire e, soprattutto, aprendo una breccia educativa difficilmente arginabile: la pillola va giù anche senza zucchero. Basta pagare.