La musica “il più sicuro rifugio dai drammi della vita”

“Canone inverso” di Paolo Maurensig: la storia di una passione, di un’amicizia e di un violino.

La passione è quella per la musica, l’amicizia è quella tra due giovani ragazzi legati dallo stesso amore per il violino. È così che combinando questi due elementi viene fuori la storia del musicista ungherese Jenö Varga. E dall’inizio alla fine il tutto ruota attorno a un violino molto particolare.

A Londra un uomo, la cui identità verrà svelata soltanto alla fine del romanzo, acquista un singolare violino di grande valore presso un’asta. L’eccezionalità di questo strumento è data da una inquietante testina antropomorfa, raffigurata con un’espressione disumana e la bocca spalancata da un grido, scolpita sul cavigliere, che sostituisce la tradizionale chiocciola. Il nuovo acquirente riceve presto una visita inaspettata, da un anonimo scrittore, appassionato di musica, arrivato tardi all’asta, che vuole a tutti i costi comprargli il violino, pagandolo di più. Il romanziere però non riesce nel suo intento e allora decide di spiegare all’uomo quanto sia importante quel violino per risolvere l’enigma che custodisce, poiché esso è la prova che la persona a cui è appartenuta sia davvero esistita. E gli racconta così la sua storia. Una decina di anni prima questo scrittore incontra a Vienna, in una locanda, un violinista ambulante, Jenö Varga, che intrattiene i clienti suonando brani a richiesta in cambio di denaro. Il musicista esegue alla perfezione e con estrema naturalezza la difficilissima Ciaccona di Bach, che lo scrittore chiede. L’uomo è piacevolmente colpito e incuriosito da un artista così talentuoso che, invece di calcare i palcoscenici dei più celebri teatri del mondo, si è ridotto a suonare in bettole e osterie per un pubblico inesperto e incompetente. Il giorno dopo torna nello stesso locale per parlare con Jenö Varga, sentendo di poter prendere ispirazione da lui per la nuova storia che vuole raccontare, ma di lui non c’è traccia e nessuno pare conoscerlo. Quando ha ormai perso ogni speranza di trovarlo, mentre si aggira per le vie della città, lo incontra nuovamente con il suo violino. Il musicista inizia a narrargli il suo passato e tutte le disavventure che lo hanno portato fin lì: parla del padre, che non ha mai conosciuto, del suo violino, che è l’unica cosa che gli rimane del genitore, del suo divino talento, del suo amore viscerale per quello strumento, che allaccia ricordi e verità di amori e famiglie diverse, nel corso degli anni. “Era come se da quel violino fosse scaturito uno spirito misterioso, un genio collerico, raffigurato da quel volto crudele e dolente che intravedevo sulla superficie della tavola armonica, riverso come se emergesse boccheggiante dal pelo dell’acqua”.  Jenö trascorre l’adolescenza nel Collegium Musicum, celebre e ambito istituto, ma isolato dalla società civile, desolato e oppressivo, la cui perversa e rigida impostazione ostacola brutalmente la bellezza e la libertà della musica. Gli insegnanti si mostrano mediocri e spregevoli, disposti soltanto a impedire qualsiasi tipo di legame tra gli studenti e a sostenere le reciproche rivalità. Si frena quindi il vero talento, la creatività, l’originalità, a beneficio della tecnica, che da sola è vuota e noiosa. Il giovane è alla continua ricerca quasi ossessiva della perfezione e cerca di conquistare Sophie Hirschbaum, la concertista di cui si è innamorato. “Fu l’anno più difficile, l’anno in cui il dubbio che la musica non fosse una ragione sufficiente per vivere si fece sempre più forte. Fu l’anno in cui la musica stessa, che fino ad allora mi aveva consolato con la sua presenza immateriale, mi abbandonò del tutto”. In collegio Jenö, nonostante l’ambiente ostile, riesce però a fare amicizia: conosce infatti Kuno Blau, un ragazzo austriaco della sua età, figlio di una nobile famiglia tirolese, con straordinarie doti musicali, anch’egli con la passione del violino. Terminati gli studi, Jenö trascorre un’estate ospite al castello di famiglia di Kuno ed è qui che tutto si complica, tra oscurità e sogno, segreti ed eventi inspiegabili, che porteranno verso inquietanti rivelazioni finali. È qui che Jenö apprende ad esempio la leggenda dello zio di Kuno, l’alchimista Gustav, il quale si racconta sia morto e risuscitato. Durante la permanenza al castello Jenö conosce anche altri curiosi personaggi, ma soprattutto assiste suo malgrado alla fine dell’amicizia con Kuno. Un rapporto che nasce, si rafforza e infine tramonta attraverso la musica: per una competizione, riguardo a un’esecuzione, e per un violino, quel preciso violino, i due si allontaneranno. C’è anche la guerra, l’Anschluss tedesco e il nazismo sullo sfondo. Tutto quello che succede dopo è custodito nelle pagine del libro, una storia che non può essere narrata, ma che va letta con i propri occhi.

C’è dappertutto un alone di mistero, un non detto ricorrente, allusioni persistenti. È un libro che estrania dalla realtà, quasi al punto di iptonizzare. E c’è la musica, che è concentrazione, possessione, è una forza ossessiva, una scelta consapevole, è una condanna, è vita. L’atmosfera gotica e surreale del castello tirolese, con i suoi arcani e le sue esistenze, sembra fuori dal tempo, tra discussioni filosofiche sull’arte, sulla vita, sull’immortalità. Un non so che di angosciante riecheggia in quelle note, in quelle stanze, come se fossero maledette da una inconcepibile verità. È proprio questo il punto di forza del romanzo, che non si può non leggere con piacere e vero interesse, nonostante l’inquietudine che trasuda dalle pagine, poiché è scritto magistralmente, con una prosa che incanta e strugge al tempo stesso. È malinconico, ma al punto giusto. È coinvolgente e disarmante, sublime e sorprendente, il libro che non si dimentica.

“Senza che me ne avvedessi, ciò che aveva trovato il suo supremo compimento nella folgorazione iniziale, aveva già cominciato da tempo la sua corsa retrograda, il suo conto alla rovescia, o, se vogliamo usare un termine musicale: il suo canone inverso”. Cos’è il “canone inverso”? Nel linguaggio tecnico musicale, è una forma di fuga molto più complessa, perché non è basata sulla ripetizione dello stesso tema. È una partitura che si può eseguire anche a ritroso, così come la trama del romanzo. Il canone inverso nel libro è tutto, è l’epilogo di una storia che sembra non avere fine né soluzione, è memoria e confusione, è un’amicizia che si frantuma, è il colpo di scena che sovverte ogni regola e trasgredisce ogni limite, così come fa proprio la musica.