La guerra di Francesco. Gioventù di un santo ribelle

Una storica tenta la ricostruzione della vita del Poverello prima della conversione

“Il Francesco che predica alla gente se ne infischia delle regole letterarie, cui si era invece attenuto quando, giovane cavaliere ambizioso, era ligio ai dettami della lirica cortese”.
Chi è un santo prima di diventare tale? Che cosa sappiamo della vita di un uomo che è stato innalzato alla gloria degli altari dopo aver vissuto anni di apparente normalità o di sconvolgente trasgressione? Chi era, tanto per fare uno degli esempi più famosi, nella vita di tutti i giorni, il Poverello di Assisi prima di diventare il Santo nostro patrono? Sappiamo molto del suo dopo, del tempo della conversione, ma conosciamo davvero poco della sua vita prima, della sua dorata gioventù come rampollo di un ricco commerciante che andava in giro per il mondo di allora a fare soldi. E fare soldi, oltre che partecipare a tornei, corteggiare ragazze da marito, combattere per la sua città era il destino, anzi lo è fino a venticinque anni, di Giovanni (il padre non era ad Assisi quando la moglie lo aveva dato alla luce e fatto chiamare con quel nome che non gli piacque molto tanto da chiamarlo esoticamente Francesco, cioè di Francia).
La storica Barbara Frale con “La guerra di Francesco. Gioventù di un santo ribelle ” (Utet, 180 pagine, con un notevole apparato bibliografico) tenta di fare luce con i suoi propri strumenti sul prima della clamorosa conversione di Giovanni Francesco figlio di Bernardone. Ed ecco che, come d’incanto, ci si presenta davanti il mondo vero di una cavalleria non più di rango ma di materiali sostanze, di ragazzi di buona società stretti tra risse e corteggiamenti galanti, tra sesso furtivo e dame da eleggere a compagne di tutta una vita. E di guerre: “Non c’è dubbio che Francesco ferì e probabilmente uccise degli uomini”, afferma Frale senza però portare a suffragio della sua tesi precise documentazioni.
Il Santo prima della santità è un ragazzo come tanti altri della buona borghesia assisiate che però già emerge per personalità e una certa innata classe. Probabilmente dotato di sensibilità artistica e di una qualche cultura, visto che “Il cantico delle Creature possiede una forza e un valore poetico altissimo”, mai eccessivo, propenso più alla prodigalità che all’avarizia – che secondo le cattive lingue era la caratteristica del padre -, rispettoso della dignità altrui anche se talvolta eccessivo nella ricerca dell’originalità nella scelta dei propri abiti: è questo il Giovanni-Francesco che emerge dalla ricerca delle fonti storiche. Con in più, soprattutto nella testimonianza detta dei Tre Compagni, qualche episodio che getta una luce diversa sulla complessità della sua anima, come l’allontanarsi improvviso e lo sprofondamento in pensieri che sembravano turbarlo per qualche istante. E questo dice già molto sulla complessità di una persona che non rinunciò in realtà a essere se stesso, conservando la sua identità di giovane cortese e insieme guerriero nel corteggiamento di madonna povertà e nella guerra contro il troppo e l’ingiusto. Cosa cambia dopo la lettura di questo libro nel nostro immaginario collettivo riguardante il Poverello? Davvero nulla. Ne sappiamo di più sugli usi e costumi dei suoi tempi, conosciamo meglio la vita quotidiana nell’entroterra umbro tra dodicesimo e tredicesimo secolo, ma il mistero di un giovane carico di soldi e potere che abbandona tutto e diventa mendicante, per di più affrontando la prova terribile di farlo dentro le stesse vie che lo avevano visto capobrigata spensierato e ammirato, rimane pur sempre un affasciante e irrisolvibile mistero.