Chiesa di Rieti

La fede nell’incredibile segna la differenza tra chi si rassegna e chi continua a cercare

Il vescovo Domenico ha presieduto in Cattedrale la Veglia Pasquale, vivendo insieme ai fedeli la ricchezza di significati del passaggio dal buio della notte alla luce del giorno

Pure se celebrata in anticipo di qualche ora, la veglia pasquale celebrata nella Cattedrale di Rieti ha riempito di significati il passaggio dal buio della notte alla luce del giorno. La benedizione del fuoco è avvenuta all’ingresso della chiesa, con i fedeli rimasti in piedi ai banchi. Dalle braci il vescovo ha tratto la fiamma con cui ha acceso il cero pasquale e poco a poco il chiarore ha illuminato la basilica, elencando, candela dopo candela, i passi della processione d’ingresso. Un contagio positivo e vitale di luce e calore, ben diverso da quello oscuro e carico di morte prodotto dalla pandemia. Non a caso, nella ricca sequenza di letture della veglia si ripercorre storia della salvezza dall’origine della vita in Dio fino all’angelo che annuncia la risurrezione a Maria di Màgdala e all’altra Maria.

Il senso della veglia

Due figure dalle quali ha preso le mosse la riflessione di mons Pompili. Cogliendo innanzitutto il loro stato d’animo, dopo aver assistito alla crocefissione e alla morte di Gesù. Pur muovendosi presto al mattino, certamente non avevano dormito. Un’inclinazione a far tardi che il vescovo ha rintracciato anche nei giovani di oggi, scovando in essa qualcosa di profondo e per nulla scontato: uno stare svegli la notte che va oltre la semplice trasgressione e anche al di là del bisogno di farne «un simbolo di autenticità rispetto al conformismo del giorno». Nell’attraversare la notte fino ad arrivare esausti all’alba, si esprime infatti un grande desiderio: «quello di sostenere insieme il buio della notte e di arrivare finalmente a ritrovare la luce del giorno».

Le donne sanno cos’è la vita

Nel chiarore dell’alba, che regala «un’atmosfera carica di energie», le donne nuovo dunque verso il sepolcro, senza minimamente immaginare cosa le attende. A differenza dei maschi, che sono come tombati in casa, esse si mettono per strada «Perché le donne sanno che cos’è la vita e della vita conoscono tutto, compreso la morte. Perciò non temono di esporsi alla realtà della morte: dentro di loro si muove un grande a anelito: un desiderio di vita che la nostra generazione sembra al contrario aver smarrito».

Uscire dalla depressione

«C’è una depressione in giro, al netto del Covid, che si taglia a fettine», ha notato don Domenico. «Ma non c’è solo una mancanza di vita: è anche un’assenza della percezione della morte». E l’insieme delle due cose «fa sì che la nostra sia una generazione rinunciataria, che ha ormai messo da parte questo aspetto e ritenendo superflua l’ipotesi di Dio. Per interpretare la vita e la morte, finisce per accontentarsi di surrogati, delle varie forme di dipendenza».

Non è così per chi cerca Gesù. Come presto scoprono le donne, non lo si trova nei luoghi della morte: «Il crocifisso è risorto, non è qui», annuncia il giovane misterioso vestito di bianco. Aggiungendo una cosa che capovolge l’atmosfera: «Non abbiate paura». È quando viene chiesto a chiunque abbia fame di vita, a quelli che vogliono avere a che fare con Dio: «Non fatevi abbrutire dalla paura, non lasciatevi inibire dalla paura, non rassegnatevi», ha esortato il vescovo.

Continuare a cercare

E soprattutto: «Continuate a cercare». Perché «la differenza fondamentale non è tanto tra credenti e non credenti nella Pasqua. La vera differenza è tra coloro che cercano e quelli che hanno smesso di cercare. Ricercatori si trovano anche tra quelli che dicono di non credere. E si trovano, ovviamente, anche tra quelli che credono. Ma è importante capire se noi siamo ancora cercatori o se abbiamo ormai deciso di non cercare più niente. Cercare è il segno che non ci sentiamo ancora rassegnati, ma abbiamo il desiderio di bene».

Una storia che continua

Il brano evangelico si conclude con le parole del giovane misterioso, che riferendosi al Maestro dà un ultimo annuncio: «vi precede in Galilea, là lo vedrete». «La Galilea – ha spiegato mons Pompili – non è semplicemente un luogo geografico, è piuttosto il luogo del primo incontro. La Galilea e là dove le donne e i discepoli hanno conosciuto il giovane profeta di Nazareth. È da lì che è partito il loro incontro. Perciò, dire che Gesù li precede in Galilea, significa che ciò che li attende e la continuazione, in forme diverse, di quel medesimo rapporto personale».

Il senso della Pasqua

E questo, ha detto in conclusione il vescovo, è il senso della Pasqua: «Credere l’incredibile, e cioè che il Signore Gesù è alla nostra portata, è il nostro compagno indivisibile nella vita di ogni giorno. Anzi, è l’unico che veramente non può mai essere separato da noi. Credere, perciò, è una straordinaria risorsa, perché ci mette nella condizione di sentirci sempre e comunque legati al Signore che è vivo e che cammina insieme a noi».