La domenica del Papa: tra fare e non fare

Ciò che separa i giusti dagli ingiusti, le pecore dalle capre

Un solo verbo – “fare” – usato in senso positivo o negativo. È tutto qui il discrimine, la netta divisione che decide sul destino finale, che separa i giusti dagli ingiusti, le “pecore” dalle “capre”. In questa domenica leggiamo l’ultimo grande discorso di Gesù, prima del racconto della passione, morte e resurrezione. Siamo al termine dell’anno liturgico, domenica prossima entreremo nel tempo di Avvento, e le letture ci invitano a guardare agli eventi ultimi. In questa pagina di Matteo troviamo quasi una sorta di sintesi del cammino dell’umanità e non solo del credente, una visione finale che ci dice molto sulla storia e le vicende del nostro mondo. Interroga tutti questa pagina evangelica, proprio perché ci chiede se abbiamo davvero messo in primo piano il bene comune, l’attenzione verso l’altro; ci chiede se siamo stati egoisti, chiusi nel nostro piccolo mondo o se abbiamo teso la mano e accompagnato l’altro, chiunque esso sia. E questo non per un gesto dovuto, né per un principio religioso, ma semplicemente per il nostro essere cittadini di questo mondo, con i suoi limiti e le sue, e nostre, debolezze.

Fare, non fare: la differenza tra azione e omissione. Già ma cosa siamo chiamati a fare per essere dalla parte dei giusti, delle “pecore”? Ripercorriamo la pagina di Matteo: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Sono gesti, azioni che si riferiscono a un servizio concreto che non ha nulla a che fare con un atto di culto o una conoscenza di Dio: gesti umani, concreti.

In un tempo come il nostro in cui spesso sono solo le parole a raccontare gesti e azioni, Gesù nella sua esistenza raccontata dai Vangeli agisce, e poi parla, spiega. È colui che si è sempre messo dalla parte degli ultimi, dei più piccoli – “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” – dalla parte dell’affamato, assetato, povero, straniero, malato. Si è compromesso Gesù, mettendosi contro scribi e farisei, entrando nelle case dei peccatori, toccando e facendosi toccare dai malati.

Papa Francesco commenta le letture, nella celebrazione in cui proclama sei nuovi santi, e con Ezechiele ricorda i verbi che “indicano la premura e l’amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere”. È il modello del pastore dal quale “non possiamo discostarci” dice Francesco “se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari”.

Altro aspetto da evidenziare, il titolo della festa di questa domenica: Cristo re dell’universo. Di recente istituzione, 1925, ci dice però che il re che celebriamo non è quello del potere, degli eserciti; per lui, dice Francesco, “regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a lui, perché si compia il suo disegno d’amore e di salvezza”.

Atteggiamenti che Papa Francesco mette in primo piano sin dall’inizio del suo pontificato, quando ha voluto sul sagrato di San Pietro nel giorno d’inizio del suo pontificato un cartonero, cioè una persona che nella città di Buenos Aires raccoglie i cartoni per le strade cittadine; o quando sceglie come suo primo viaggio da Papa, l’isola di Lampedusa per essere accanto a immigrati scappati spesso da situazioni di difficoltà, di guerra: “ero straniero e mi avete accolto”. E questo va ben oltre le tensioni che attraversano le nostre città , con tutti i problemi che si trascinano dietro, ma l’atteggiamento sul quale saremo giudicati, è proprio legato al fatto se abbiamo o meno aperto la porta del nostro cuore. “Alla sera della vita – afferma Francesco – saremo giudicati sull’amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall’una o dall’altra parte”.