La Chiesa della città di Rieti dalla società agricola a quella industriale e postindustriale / 5

Rieti, con il Seminario chiuso, diveniva fisiologicamente più povera culturalmente e di sacerdoti diocesani. Dal 1974 al 1998, fecero ritorno alla casa del Padre 22 preti, di cui si riporta un breve profilo biografico.

L’8. aprile 1974 cessava di vivere mons. Bruno Bandini, parroco di S. Agostino dal marzo 1948. Con coraggio e tenacia ripristinò la chiesa con lavori di consildamento e di abbellimento. Aveva ricoperto gli uffici di pro-cancelliere, di direttore spirituale ed economo del Seminario, di insegnante di matematica in seminario e di religione presso l’Istituto Commerciale.

Il 28 gennaio 1976 moriva, all’età di 65 anni, il canonico don Domenico Riposati, che a Rieti aveva ricoperto gli incarichi di insegnante ed economo del seminario, delegato vescovile per le Religiose, cappellano del monastero di S. Agnese, del cimitero e dell’orfanatrofio Cerroni.

Don Lino De Sanctis, parroco di S. Francesco in Rieti, perdeva la vita il 24 ottobre 1977 in un tragico incidente automobilistico. Era stato trasferito da Villerose a Rieti nel 1940 con nomina di beneficiato della cattedrale dal Venerabile Massimo Rinaldi in qualità di vicerettore-economo nel collegio vescovile, sito nel palazzo Quintarelli, come collaboratore del fratello Mons. Emidio, rettore del medesimo collegio. Fu anche assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e vicepresidente della Pontificia Opera Diocesana di Assistenza. Scrive di lui Mons. Angelo Fasciolo: «Dal giorno 15 Maggio 1944, fino al giorno della sua morte, è stato parroco di S. Pietro (in S. Francesco) […]. Quando il Vescovo Mons. Migliorini, per le accresciute esigenze della popolazione in aumento, e del culto, trasferì la sede parrocchiale della chiesa ormai piccola di S. Pietro in quella monumentale di S. Francesco, anche il parroco don Lino ne seguì la sorte […]. Don Lino, guardato ed ascoltato in superficie, si sarebbe detto un “conservatore”. Niente di più inesatto. Non disdegnava affatto le innovazioni, le caldeggiava anzi; ma quando non trascendevano le sane tradizioni teologiche e morali, quando erano un mezzo per avvicinare meglio i suoi fedeli allo spirito della Chiesa, al vero stile del Concilio, a Cristo. Non tollerava la frenesia delle novità per le novità, il furore iconoclasta per tutto il passato, lo zelo incomposto di distruggere senza sostituire con qualcosa di meglio, l’autolesione di professione come ostentazione di modernità». Il giornalista Zeno Fioritoni aggiungeva: «Sentiva i problemi delle nuove generazioni ed aveva anticipato i tempi. Aveva trasfuso il suo cuore in innumerevoli iniziative benefiche: una scuola del tutto gratuita per i figli degli operai; soggiorni montani e marini; opere per aiutare i disoccupati e quindi iniziative culturali e sportive, sempre per i ragazzi che gremivano la sua chiesa ed affollavano i locali che era riuscito ad avere ed utilizzare nell’ex-manicomio».