Chiesa di Rieti

La Cattedrale di Rieti festeggia 800 anni con il cardinale Parolin

La solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Segretario di Stato con i vescovi del Lazio, le autorità e una folla di fedeli, ha rinnovato la memoria della dedicazione: «La gioia del Signore è la vostra forza»

Anche la pioggia è venuta a rendere omaggio alla Cattedrale di Rieti. Uno scroscio breve, proprio all’ora d’inizio, ha consigliato di rinunciare alla processione esterna; poi il cielo si è aperto e la basilica di Santa Maria, tirata a lucido, dopo l’avvio dell’ottocentenario nella serata di ieri ha raccolto tutto il popolo di Dio: i vescovi di diocesi vicine intervenuti (Ernesto Mandara di Sabina-Poggio Mirteto, Marco Salvi di Civita Castellana, Francesco Antonio Soddu di Terni-Narni-Amelia, Renato Boccardo di Spoleto-Norcia), le autorità civili e militari, i rappresentanti delle altre confessioni cristiane presenti a Rieti e di altre fedi, rappresentanze di malati e disabili, migranti, detenuti del carcere… e una folla di fedeli. In tanti, tra presbiteri e diaconi della diocesi, hanno preso posto restituendo l’immagine concreta di una Chiesa radunata. Ad accompagnare l’attesa, la Banda Città di Rieti con una musica gioiosa che ha sciolto il momento di pioggia in festa.

Il contesto è quello di un compleanno che parla alla storia e al presente. Il libretto liturgico ricorda l’origine: la dedicazione del 9 settembre 1225, quando fu il papa Onorio III a consacrare la basilica superiore intitolata alla Madre di Dio. Uno sguardo alla memoria utile a capire perché un anniversario del genere non è un gesto d’archivio, ma una chiamata a vivere.

A dare il tono all’assemblea è subito il saluto del vescovo, Vito Piccinonna, al cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, giunto a Rieti per presiedere la solenne Eucaristia. «Signor cardinale, è con grande gioia che, come pastore di questa Chiesa reatina, insieme a tutti i presbiteri, i diaconi, i religiosi, le religiose e tutto il popolo di Dio che la compone, Le do il benvenuto in questa nostra terra, in questa città, in questa basilica cattedrale della cui dedicazione ricorre proprio oggi l’ottavo centenario»; un abbraccio che si allarga ai confratelli vescovi, alle autorità e a chi partecipa da lontano. Il passo successivo è un invito alla responsabilità: «Si apre un tempo speciale per la Chiesa reatina, nel quale siamo invitati a rendere grazie a Dio. Sarà occasione propizia per riflettere sul nostro essere Chiesa in questo territorio e in questo tempo».

Il vescovo lega la festa al respiro della Chiesa universale: «La gioia per gli ottocento anni della Dedicazione si fonde con quella della Chiesa universale che vive quest’anno il Giubileo della speranza, indetto e aperto dal compianto papa Francesco», assicurando a «Papa Leone» affetto e preghiera e «condividendo gli accorati appelli» per vie di pace. Non manca la memoria ferita del territorio: «Questa porzione del popolo di Dio che è in Rieti conosce bene cosa sono la distruzione, la morte, il dolore», dopo il sisma del 2016, ma il compito resta chiaro: usare l’arma pacifica della preghiera e riconoscersi dentro una geografia di santità che da secoli nutre la valle, «non un’isola nel deserto», ma un territorio «segnato dalla più alta spiritualità».

La liturgia, sobria e insieme solenne, partecipata, ha intrecciato i segni con precisione. L’aspersione ha richiamato il Battesimo sulle note dell’antifona «Vidi l’acqua uscire dal tempio», poi le letture hanno tracciato la rotta: Neemia, con il popolo in ascolto della Legge, la lettera di Paolo agli Efesini, sul tempio fatto di pietre vive, e il Vangelo di Giovanni sulla purificazione del tempio. La rinnovazione delle promesse battesimali ha dato il “noi” più semplice e più esigente alla comunità; al termine, l’omaggio floreale del Cardinale all’icona della «Madonna del Popolo», accompagnato dai versi di Dante Alighieri – la preghiera alla Vergine di san Bernardo nell’ultimo canto del Paradiso – musicati da Raffaello Simeoni, cantati dalla giovane Rachele Tomassoni accompagnata alla chitarra da Michele D’Aquilio, ha consegnato la festa a una preghiera affidata.

Nell’omelia, il Segretario di Stato ha portato la vicinanza e la benedizione di papa Leone XIV e ha preso per mano il filo del giorno con parole di Neemia: «La gioia del Signore è la vostra forza». La sua chiave di lettura non indulge alla retorica. «Non si tratta semplicemente di “fare memoria” di quel giorno di grazia richiamandone eventi, personaggi e riti. Non si tratta neanche di celebrare una “commemorazione” di una realtà che era e non è più; si tratta, piuttosto, come l’Eucaristia stessa ci invita a fare, di “celebrare il memoriale” dell’amore e della grazia di Dio che, da 800 anni a questa parte, si sono riversati e continuano a riversarsi nell’oggi di questa comunità diocesana». Al centro non c’è l’edificio, ma l’evento che lo fonda: «“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo». Da qui la sintesi: «Festeggiare l’anniversario della dedicazione non vuol dire, dunque, celebrare la maestosità dell’edificio, ma Colui che è il nuovo Tempio, il nuovo Altare, il nuovo Sacerdote e la nuova Vittima: Cristo Signore».

Parole rivolte a una comunità che conosce le scosse: «Una fedeltà, quella di questa comunità, provata più volte da sconquassi, “terremoti” – quelli naturali, certamente – ma anche da altri tipi di “terremoti” che tuttora scuotono questo territorio nella sua profonda identità». L’invito è a non indulgere nel lamento: «non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» diventi scelta operosa, capace di tenere la rotta anche quando la cronaca sembra contraria.

C’è poi il tratto pastorale che esce dalla teoria e scende a terra. Il Cardinale domanda una fede battesimale viva, fino a dire: «Oggi, dunque, mi piace vedere questa celebrazione anche come l’anniversario del vostro “battesimo” come comunità cristiana, del tempio che siamo noi!»; chiede una cura non stanca per i giovani; sollecita famiglie e comunità a generare vocazioni senza rassegnazione; chiede ai consacrati uno stile di prossimità che sappia «gioire con chi gioisce, piangere con chi piange». E, con un’immagine domestica per Rieti, ricorda che la città poggia sulla Salaria: essere «sale della terra» non è un vezzo spirituale, ma il compito di «dare sapore e garantire il gusto evangelico di quanto operiamo nella nostra Chiesa».

La celebrazione ha custodito questa trama con semplicità. I canti, eseguiti a voce piena dal coro diocesano diretto da suor Giuditta con tutta la passione sonora di Lorenzo all’organo, hanno sostenuto l’assemblea senza sovrapporsi; la pace scambiata con misura ha riconsegnato la gioia come forza, non come euforia. La scelta del rito dell’aspersione e della rinnovazione del Battesimo, ha reso trasparente il messaggio dell’omelia: Chiesa non è la pietra che chiude, è la pietra viva che si apre. E l’omaggio alla Madonna del Popolo, in fondo alla navata, ha messo alla porta il compito: tornare al quotidiano portando con sé un passo più sicuro. Ma lo sguardo non è rivolto solo su di sé: si proietta sul mondo. Non a caso le offerte raccolte durante la celebrazione sono destinate alla comunità della parrocchia di Gaza. E quanti al termine della liturgia hanno espresso il desiderio di contribuire ancora possono rivolgersi alla Caritas diocesana.

Fuori, la pioggia aveva già smesso da un pezzo. Resta la scena di un popolo che si ritrova nella sua chiesa madre e riparte con un’agenda chiara: custodire l’unità come servizio, fare spazio ai giovani, convertire la memoria in futuro, tenere alta la domanda di pace. Non serve aggiungere orpelli: basta il respiro di una città che, da secoli, impara a farsi tempio. Oggi lo ha detto con una liturgia precisa e con parole ferme. L’impegno è a proseguire con gesti che sappiano, uno alla volta, restituire gusto. Perché qui, davvero, la gioia del Signore è forza che non passa.