Je suis chrétien

Non è forse il caso di cominciare a pensare in modo diverso le nostre battaglie culturali? Cominciare a riflettere sulla nostra identità culturale che non nasce con la rivoluzione francese o con l’illuminismo, ma ben prima e su ben diversi capisaldi?

L’ultimo scorcio di quaresima è stato inondato dal sangue dei martiri cristiani, trucidati dalla furia irrazionale di chi pensa di uccidere in nome di Dio e della religione.

Forse il numero dei martiri cristiani dell’epoca moderna supera quello dei primi tempi del cristianesimo, ma, a parte qualche frase di circostanza, non sembra proprio levarsi lo stesso sgomento seguìto alla strage di «Charlie Hebdo». Come mai nessuno dice: “Je suis chrétien”? Non è politicamente corretto, è evidente, perché lottare per la libertà di espressione e di sbeffeggio è politicamente corretto, anzi doveroso, in nome di una curiosa visione della laicità. Ma dire “je suis” cristiano (chrétien) non è corretto perché il cristianesimo farebbe male alla laicità, perché sarebbe un’imposizione, perché i cristiani sarebbero cretini. Infatti, in francese, dire chrétien (cristiano), è quasi come dire crétin (cretino), cioè dire cristiano è quasi come dire cretino, foneticamente.

Il cristianesimo ostacolerebbe la laicità e la libertà.

Proprio i francesi, maestri di tolleranza, hanno sfumato la croce pettorale di un vescovo su un cartellone pubblicitario, perché offenderebbe la laicità: sarebbe, infatti, un segno ostensible, troppo vistoso.

E su quella pericolosa china si stanno muovendo in nostri connazionali atei-agnostici-anticlericali, sia con la questione del crocifisso nelle scuole e negli uffici pubblici, sia con tutte le pretestuose battaglie per favorire l’avanzata di una società senza religione, nessuna religione.

Noi occidentali non abbiamo capito una cosa molto elementare, che sarà la causa della nostra implosione culturale e forse anche della nostra estinzione sociale.

Meraviglia e non poco la miopia culturale di chi continua a fare battaglie ormai datate e anacronistiche e non capisce che oggi la posta in gioco è di ben altro spessore.

Posto e sottolineato che il 98% dell’Islam è moderato e avanzato, non si tiene nel debito conto che una sparuta minoranza di integralisti può mettere a ferro e fuoco chiese, scuole, supermercati, musei, distruggere le nostre opere d’arte, i nostri affreschi, le nostre statue, cioè la nostra cultura che è al 90% cristiana cattolica. In Italia, ma anche in Francia, in Spagna. In Inghilterra e Germania un po’ meno cattolica ma sempre cristiana.

Non è forse il caso di cominciare a pensare in modo diverso le nostre battaglie culturali? Cominciare a riflettere sulla nostra identità culturale che non nasce con la rivoluzione francese o con l’illuminismo, ma ben prima e su ben diversi capisaldi?

È vero, molti diranno che il cristianesimo è anzitutto l’incontro con la persona e con l’opera di Gesù. Ma anche chi non incontra questo Gesù nell’intimità della fede sa di avere un bagaglio straordinario di arte figurativa, letteratura, musica, che lo associa a una grande esperienza umana e culturale dalla quale non può prescindere.

Ogni religione si concretizza nella storia e lascia segni indelebili come quelle statue e opere d’arte che gli integralisti islamici vanno distruggendo, a motivo di un’interpretazione letterale, riduttiva e ingenua del divieto di fare immagini.

I nostri atei-agnostici-anticlericali non si rendono conto che loro stanno prendendo a picconate la nostra identità culturale in modo non meno violento e dannoso degli integralisti islamici, rifiutandosi di accettare un dato di fatto storico e incontrovertibile che è quello della oggettivazione storico-culturale di un evento religioso che ha avuto origine con Gesù e con i suoi seguaci.

Per questo verrebbe voglia di promuovere un sit-in in memoria dei cristiani trucidati solo perché cristiani, e vorremmo provare a vedere se la mobilitazione è almeno uguale a quella per Charlie.

Je suis “cristiano”, perché voglio che abbiano fine i massacri ingiustificati da parte di imbecilli, senza cervello e senza Dio, perché voglio una società in cui ognuno sia libero di professare la sua fede senza offendere quella degli altri, perché voglio che la mia identità culturale entri in dialogo con le altre senza essere decimata dalla furia assassina di mezze teste da emancipare e verso le quali fare un’opera di modernizzazione e sviluppo culturale, nella conoscenza di altri mondi, anche del cristianesimo da cui potrebbero imparare molto. Je suis “cristiano”.

Non è poco!