Noi italiani… fabbri della nostra fortuna

Parliamoci chiaro: non abbiamo un tumore incurabile, il Pil non racconta tutta l’Italia (il “nero”, ad esempio), né rispecchia un tenore di vita comunque in larga parte ancora dignitoso. Ci sta da tempo debilitando una febbriciattola fatta di conservatorismo, di inedia, di soluzioni a corto respiro, di voglia di non decidere, di non scontentare.

Ebbene sì: pure il 2014 sarà un anno di recessione economica, il settimo di fila. Gli impietosi dati sul Pil italiano, che doveva crescere dello 0.8% e invece calerà pure quest’anno, ci confermano che la crisi c’è ancora tutta, che non passa e che nessuna bacchetta magica ci tirerà fuori da questo pantano. Perché da troppo tempo ci culliamo nell’idea che arrivi un mago Silvan e sim sala bim!, il buio finisce e ritorna la luce.
Rassegniamoci, non funziona così. Non ci si arricchisce per decreto legge, l’Italia deve sciogliere nodi che si sono aggrovigliati nel corso degli anni, non vuole né ama usare cesoie e avrà bisogno di tempo per venirne a capo. Tempo ma, soprattutto, buona volontà, maniche rabboccate, scelte intelligenti, coraggio e intraprendenza a tutti i livelli, da parte di tutti. Dimostriamo di essere un popolo, di avere ancora un po’ di quella tenacia e voglia di fare che ebbero i nostri padri e nonni per risollevarsi dalle macerie di una guerra, non da un Pil in lieve calo!

Poi, per carità, ci venga in aiuto una politica responsabile e capace; un’Europa che non ci bacchetti e basta ma che ci aiuti a riprendere la corsa; un sistema finanziario che, dopo aver sistemato i propri conti (certe banche stanno sfornando bilanci veramente sontuosi…), riprenda ad essere il polmone del secondo Paese manifatturiero in Europa; qualche legge che semplifichi e stimoli, piuttosto che ingarbugliare e ostacolare. Ma dovremo essere noi italiani i fabbri della nostra fortuna, senza attendere novelli uomini della provvidenza o il solito Stato la cui debolezza e ipertrofismo sono una parte del male, non la soluzione.
Quindi godiamoci questi ultimi giorni di paletta e secchiello perfettamente consapevoli che ci aspettano tempi difficili se non sapremo affrontarli efficacemente: nuove “manovre”, qualche altra tassa salva-bilanci, un’ulteriore stretta di cinghia che a questo punto rischia solo di soffocarci. Se riusciremo ad evitare l’ennesima purga e nel contempo a cogliere i primi frutti del lavoro di questi primi sei mesi, commenteremo a fine anno la speranza di un 2015 quale primo anno di un ciclo di crescita, e non l’ottavo di impoverimento.

Parliamoci chiaro: non abbiamo un tumore incurabile, il Pil non racconta tutta l’Italia (il “nero”, ad esempio), né rispecchia un tenore di vita comunque in larga parte ancora dignitoso. Ci sta da tempo debilitando una febbriciattola fatta di conservatorismo, di inedia, di soluzioni a corto respiro, di voglia di non decidere, di non scontentare. Insomma di galleggiare nonostante si sprofondi un pochino di più anno dopo anno. Non chiediamo le mega-riforme di Gerhard Schroeder che hanno fatto la fortuna della Germania di oggi; né le drastiche ed efficaci scelte inglesi, spagnole o irlandesi; né il decisionismo soft in salsa portoghese, o l’interventismo pubblico a volte valido con l’accento francese. Ci accontenteremmo di non passare ulteriori mesi a baloccarci sul lifting del futuro Senato della Repubblica. Pur con tutti i nostri difetti, non ce lo meritiamo.