Stato islamico, Erdogan non è l’unico cinico…

Per mesi ha lasciato volontariamente entrare in Siria uomini, capitali e armamenti diretti a qualunque gruppo combattesse il regime di Assad. Al pari di Stati sunniti come l’Arabia Saudita, il Kuwait, il Qatar e di facoltosi finanziatori privati residenti in tali Paesi, il governo turco non può dichiararsi estraneo alla situazione attuale.

Il gioco a cui sta giocando il presidente turco Erdogan in questi ultimi giorni include una notevole dose di cinismo. Tuttavia, la situazione che si trova a fronteggiare il governo di Ankara non è facile. L’Isis sta stringendo d’assedio la città di Kobane, nel nord della Siria, al confine con la Turchia e abitata prevalentemente da una popolazione di etnia curda. Per fermare le truppe del cosiddetto Stato Islamico e salvare la città sarebbe necessario un intervento con truppe di terra. I bombardamenti aerei mirati effettuati dall’aeronautica americana non sono sufficienti. Erdogan si rifiuta di intervenire e tiene i carrarmati dell’esercito a guardia del confine nazionale, impedendo inoltre ai curdi abitanti in Turchia di oltrepassare il confine per andare a combattere a Kobane.
Com’è noto, i curdi del Pkk hanno ingaggiato per decenni una lotta armata contro le forze di Ankara, organizzando anche numerosi attentati terroristici nel tentativo di ottenere l’indipendenza della parte orientale della Turchia. Per molti ufficiali delle forze armate turche, i curdi sono nemici dello Stato quanto l’Isis.
Davanti a questo scenario, Erdogan spera che la lotta fra i due nemici li indebolisca entrambi, con buona pace delle vittime civili e della barbara violenza nichilista di cui è portatore l’Isis. Inoltre, è chiaro che il presidente turco spera, tacitamente, di venire a patti con il califfo e stabilire un modus vivendi con l’Isis, che una ventina di giorni fa ha rilasciato 49 ostaggi turchi precedentemente rapiti in Iraq, nei dintorni di Mosul. È una scommessa molto rischiosa, perché si basa sull’assunzione che questo nuovo soggetto politico-militare, che sta seminando distruzione in Medio Oriente, si comporti in futuro più o meno come un qualsiasi Stato, pur avendo dichiarato ripetutamente il contrario. Inoltre, Erdogan scommette sul fatto che i curdi residenti su territorio turco non siano più in grado ormai di iniziare una lotta armata capace di destabilizzare la Turchia per vendicare il massacro dei propri fratelli oltre frontiera. Un gioco cinico e rischioso, per quanto la situazione della Turchia sia ben più difficile di quella in cui si trovano gli Stati Uniti o molti Paesi europei, che guardano questi avvenimenti da lontano.
Sfortunatamente per la Turchia, però, Erdogan non è totalmente incolpevole rispetto alla nascita dell’Isis. Per mesi ha lasciato volontariamente entrare in Siria uomini, capitali e armamenti diretti a qualunque gruppo combattesse il regime di Assad, anche quando molti osservatori internazionali avevano segnalato la crescita di movimenti estremisti nella regione. Al pari di Stati sunniti come l’Arabia Saudita, il Kuwait, il Qatar e di facoltosi finanziatori privati residenti in tali Paesi, il governo turco non può dichiararsi estraneo alla situazione attuale.
Su una cosa, tuttavia, Erdogan ha ragione. La Turchia non può combattere da sola l’Isis. È necessaria un’ampia coalizione, che condivida lo sforzo e renda chiara ed esplicita la condanna del cosiddetto Stato Islamico da parte di tutta la comunità internazionale. Per fermare l’Isis sono necessarie truppe di terra, una strategia di lungo termine per il Medio Oriente e un ampio movimento culturale che oltre ai governi coinvolga attivamente i leader religiosi musulmani di tutto il mondo. Su tutte e tre queste dimensioni, sia gli Stati Uniti sia l’Europa sono stati finora largamente insufficienti. L’alternativa è guardare da un’altra parte e sperare che l’Isis non sia guidato da un nuovo Hitler. Le premesse non sono delle migliori, e comunque a quel punto il cinismo non sarà più solo patrimonio di Erdogan.