Iniziative dei cittadini europei: avvio travagliato a Bruxelles

Il rifiuto della Commissione dell’iniziativa “Uno di noi” indebolisce questo strumento democratico innovativo.

Nel giugno 2012 “Europeinfos”, rivista on line della Commissione degli episcopati della Comunità europea, titolava che la registrazione della “promettente Iniziativa dei cittadini europei lanciata per la protezione della vita umana” “apre la strada all’aspettativa che la Commissione proponga una normativa concreta in questo campo”. Dopo due anni e più di 1,7 milioni di firme di cittadini raccolte in tutta Europa, purtroppo si può soltanto provare frustrazione e delusione, in quanto la Commissione ha rifiutato di mandare avanti le iniziative legislative richieste.

Questa Iniziativa, denominata “Uno di noi”, chiedeva la fine dei finanziamenti da parte dell’Ue di attività che implicano la distruzione di embrioni umani in settori di competenza dell’Ue in cui la tutela della vita umana è gravemente minacciata: ad esempio, nel campo della ricerca (progetti che fanno uso di cellule staminali embrionali umane – “hEsc”) e nella cooperazione allo sviluppo (ad esempio l’aborto, finanziato direttamente o indirettamente). Suggeriva anche che venisse aggiunta una clausola generale al regolamento finanziario Ue, la quale affermava che “non è previsto alcuno stanziamento di bilancio per il finanziamento di attività che distruggono embrioni umani, o che presuppongono la loro distruzione”. Tale clausola è stata respinta senza alcuna giustificazione specifica nella Comunicazione che accompagnava la decisione della Commissione.
Per quanto riguarda la ricerca, l’Esecutivo Ue riconosce che nell’ambito del 7° programma quadro (2007-2013) sono stati finanziati 27 progetti che prevedono l’uso di cellule staminali embrionali umane. Tuttavia, la Commissione sostiene che la distruzione degli embrioni in quanto tale non è stata finanziata. Questo, in realtà, non costituisce una giustificazione per il rifiuto di agire, perché non coglie il punto: “Uno di noi” è assolutamente chiaro nel chiedere la cessazione del “finanziamento delle attività che implicano la distruzione di embrioni umani”. Questo è proprio quanto avviene in qualsiasi progetto di ricerca che fa ricorso alle cellule staminali embrionali umane, anche se la precedente attività di distruzione degli embrioni, di per sé, è esclusa dal progetto finanziato dall’Unione.

Infine, per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, la Commissione ammette che durante il quinquennio 2008-2012, l’Ue ha speso più di 100 milioni di euro nel settore della salute riproduttiva e della pianificazione familiare, e che l’assistenza fornita dall’Ue contribuisce “direttamente o indirettamente all’intero spettro dei servizi medico-sanitari offerti dai Paesi partner, che possono includere o meno servizi connessi all’aborto per salvare la vita della madre”. Anche se si presume che il finanziamento Ue sia limitato al cosiddetto “aborto terapeutico per salvare la vita della donna” e all’aborto nei Paesi in cui tali pratiche sono legali, ciò che la Commissione ha totalmente omesso è stato di produrre qualsiasi prova del fatto che tale “assistenza” “contribuisca in modo sostanziale”, come sostiene, a una “riduzione del numero degli aborti”: apparentemente, secondo il ragionamento proposto e per quanto sembri paradossale, questa è stata una delle principali ragioni per cui la Commissione ha rifiutato di interrompere il finanziamento dell’aborto.

Riassumendo, la Comunicazione che sta alla base della decisione della Commissione si limita a descrivere l’attuale quadro giuridico, ma non avanza nuove argomentazioni coerenti a suo sostegno e che motivino il rifiuto delle richieste di “Uno di noi”. La sua strategia argomentativa semplicemente non è solida.

Non c’è dubbio che la Commissione non è soggetta ad alcun obbligo giuridico di proporre una iniziativa legislativa in risposta a un’Iniziativa dei cittadini europei. Tuttavia, da un punto di vista giuridico, ciò che la Commissione non può omettere in uno qualsiasi di questi casi è di fornire valide ragioni giuridiche e politiche per la scelta di intraprendere, o di non intraprendere, qualsiasi azione. Inoltre, la presente decisione solleva un altro motivo di preoccupazione che deriva dall’interpretazione della democrazia così come viene ora espressa dalla Commissione. La “decisione [risulta] in contrasto con […] i requisiti democratici”, dichiara il Comitato civico “Uno di noi”, che suggerisce anche un probabile ricorso alla Corte di Giustizia europea.

In effetti, “Uno di noi” non è stata la prima Iniziativa dei cittadini con un forte sostegno popolare che non è riuscita a provocare una reazione positiva da parte della Commissione. Inoltre, nonostante il fatto che l’Iniziativa dei cittadini europei sia uno strumento democratico innovativo introdotto dal Trattato di Lisbona, una delle argomentazioni principali ora addotte dalla Commissione per rifiutarsi di agire è apparentemente il fatto che l’attuale quadro giuridico riguardante la materia del contendere di “Uno di noi” è stato recentemente approvato attraverso il processo democratico. Espressa in questo modo nella Comunicazione, se ne potrebbe dedurre una preoccupante conclusione fuorviante: che esista un conflitto tra strumenti democratici rappresentativi e lo strumento partecipativo più recente. D’altra parte, dal momento che l’Iniziativa dei cittadini europei è stata pensata per contribuire a costruire l’agenda della Commissione proponendo iniziative legislative da portare avanti, non ha senso rifiutarsi di agire perché esiste già una normativa approvata dal processo democratico. Dovrebbe forse essere stata approvata da qualche altro processo? Ovviamente no. O forse l’Iniziativa dei cittadini dovrebbe essere avviata solo quando la Commissione, per omissione, non ha preso una certa iniziativa nonostante la sua competenza (e il mandato legale) per farlo? La risposta è ancora negativa.

Quindi tutto questo solleva molte preoccupazioni circa l’efficacia e il futuro dell’Iniziativa dei cittadini europei. Si tratta, dopo tutto, di uno strumento importante che ha lo scopo di stimolare il dibattito pubblico e combattere il deficit democratico dell’Ue, colmando il divario tra i legislatori e i cittadini che essi rappresentano.