In Argentina si allarga l’area della povertà: 11 milioni di cittadini

I dati diffusi dall’Osservatorio cattolico mostrano una crescita nel 2014 dell’1,3% rispetto al 2013. Il trend della povertà non si ferma nonostante l’aumento dei programmi sociali, come conseguenza soprattutto dell’inflazione e della mancanza di nuovi posti di lavoro. L’irritazione delle autorità che contestano i risultati dell’indagine.

Secondo il rapporto dell’Osservatorio del debito sociale della Pontificia Università Cattolica argentina, presentato mercoledì scorso a Buenos Aires, negli ultimi tre anni si sarebbe registrato in Argentina un incremento del tasso di povertà che nel 2014 avrebbe colpito il 28,7% della popolazione, cioè 11 milioni di persone. Due milioni sarebbero in condizioni d’indigenza.

Dati contrastanti. I dati dell’Osservatorio prendono in considerazione un “paniere minimo” di 5.717 pesos al mese, pari a circa 400 euro, di cui avrebbe bisogno una famiglia media. Numeri assai lontani da quelli recentemente annunciati dal governo argentino alla Fao, in riferimento a un “paniere minimo” di 2.026 pesos al mese stimato dall’Istituto nazionale di statistiche e censimenti (Indec), in base al quale il tasso di povertà sarebbe confinato al 4,7%. Il rettore dell’Università Cattolica argentina, monsignor Víctor Manuel Fernández, ha chiarito, durante la presentazione, che il rapporto viene sempre pubblicato a luglio. Una precisazione dovuta, viste le polemiche suscitate dai dati resi noti. Secondo alcuni, infatti, la data di pubblicazione sarebbe stata scelta appositamente nei giorni successivi alla visita di Papa Francesco in America Latina. Il capo di gabinetto, Anibal Fernandez, ha affermato di “non credere per niente a questo rapporto dell’Università Cattolica”, che gli sembra addirittura “vergognoso”. Monsignor Fernández ha dovuto spiegare che l’Osservatorio dal 2004 realizza un’indagine su 5.700 famiglie, cioè su circa 15mila persone, quando la grande maggioranza dei sondaggi si limitano invece a 1.000 casi e che la selezione dei luoghi – 25 centri urbani dell’area metropolitana di Buenos Aires – dove viene effettuata ogni anno è stata decisa nel 2003-2004 dallo stesso organismo governativo argentino, Indec.

Povertà in crescita.
Il rapporto, intitolato “Progressi sociali, povertà strutturali e disuguaglianze persistenti”, ha rivelato – secondo quanto affermato dal coordinatore e ricercatore dell’Osservatorio, Agustin Salvia – che il tasso di povertà è cresciuto nel 2014 dell’1,3% rispetto al 2013 e che il trend della povertà non si ferma nonostante l’aumento dei programmi sociali, come conseguenza soprattutto dell’inflazione e della mancanza di nuovi posti di lavoro. “Persiste – ha aggiunto Salvia – una matrice economica, sociale e culturale di disuguaglianza. Lo Stato, malgrado l’importante sforzo in materia di spesa sociale in favore dei settori più poveri, non riesce a risolvere in maniera strutturale la trappola che impone un modello politico-economico fondato su disuguaglianze sociali molto acute”.

Una sfida per tutti. Secondo il rapporto, il 26% delle famiglie argentine riceve attualmente qualche tipo di trasferimento di risorse da parte dello Stato, mentre nel 2010 era solo del 20%. Si parla in Argentina di uno “zoccolo duro” di povertà che deve obbligare a definire politiche integrali e foriere di sviluppo e non solo politiche assistenziali. È stato Aldo Neri, ex ministro della Salute durante il governo del presidente Raul Alfonsin, a parlare, nel suo intervento, di un “consolidamento” della povertà e della disuguaglianza. “Siamo a conoscenza che i dati che offriamo significano una critica a qualsiasi governo, nazionale o locale, presente o futuro, di qualsiasi segno politico, perché rivelano un debito sociale pendente e definiscono i più colpiti, quelli che non riescono a portare avanti una vita dignitosa”, ha affermato Fernández. “Ma occorre ricordare – ha aggiunto l’arcivescovo – che questo debito sociale non è un problema solo di un governo, ma una sfida che interpella tutta la società, gli imprenditori, le istituzioni, le città, le famiglie, ognuno di noi, in modo da favorire contributi concreti e non solo delle analisi. Sono molti gli attori sociali che potrebbero contribuire molto di più”.