Immigrazione, don Domenico: «non si può distinguere tra i poveri»

In occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, celebrata nella giornata di ieri nella chiesa reatina di San Domenico, mons Pompili ha idealmente ripreso il discorso sul fenomeno dell’immigrazione avviato nel giorno di san Francesco. «Situazioni – diceva il vescovo il 4 ottobre – che vanno affrontate con realismo e senso della misura, ma senza girare le spalle ai ‘poveri cristi’ che vediamo vagare in città. Sapendo che tale fenomeno non è breve né transitorio, ma invita a rivedere il nostro modello di società».

«Ciò che viene rimproverato al servo fannullone è la mancanza del rischio, la tendenza al quieto vivere che ci fa perdere le occasioni che la storia ci riserva». È stato chiaro il vescovo Domenico commentando la parabola “dei talenti” di fronte ai fedeli, ai volontari, agli operatori delle diverse realtà impegnate nel settore pastorale della Carità, che si sono riuniti domenica 19 novembre nella chiesa reatina di San Domenico per partecipare alla messa celebrata in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri: «la scelta è tra rifugiarci pigramente nel passato o essere audaci rispetto a quello che ci attende».

Come a dire che la tensione concreta e laboriosa verso l’altro che deve distinguere il cristiano non può fermarsi davanti alle difficoltà, pure quando sembrano insormontabili. Altrimenti ci si espone al rischio della “retrotropia”, individuato nel suo libro-testamento da Zygmunt Bauman, che con questa formula individua la mentalità e l’atteggiamento pubblico che vogliono le speranze di miglioramento prima riposte nel futuro, per quanto incerto e inaffidabile, nuovamente reimpiegate sul vago ricordo di un passato apprezzato per la sua presunta stabilità e affidabilità.

In un tempo che vive la delusione lasciata da grandi utopie che si proponevano di fare piazza pulita di tutto, don Domenico ha esortato a «non volgerci semplicemente verso il passato solo perché ci sembra più rassicurante rispetto a un futuro ispido e insidioso». La questione che dobbiamo affrontare è proprio il tempo che abbiamo davanti, per quanto complicato possa sembrare.

«Pensiamo alla questione degli immigrati» ha esemplificato il vescovo: «non possiamo cavarcela né con un sì affrettato, né con un no insolente. È una grande questione che non finisce sotto gli slogan della prossima campagna elettorale, ma ha a che fare con la nostra vita quotidiana, con il nostro centro storico spopolato e abitato da altri». Difficile fornire risposte rimpiangendo il passato: meglio adottare un atteggiamento «audace e creativo rispetto a quello che sta accadendo». «A noi cristiani – ha concluso don Domenico – non è permesso privatizzare il tempo futuro, facendo in modo che ci siamo noi da una parte e loro dall’altra. Il tempo che viviamo riguarda tutti e l’invito che viene dal Vangelo è quello di sfruttare al massimo il talento che ci è dato cercando di trovare risposta a queste domande che non ci abbandonano e che dovremo insieme cercare di fronteggiare». È al di là «della paura e dell’accidia», che si apre «una strada percorribile per tutti, senza distinguere tra i poveri».