Il vescovo Pompili: «Il prestito non deve mai diventare usura»

«Il prestito non deve mai diventare usura». Non lascia spazio a dubbi mons. Domenico Pompili, parlando ai convenuti alla veglia di preghiera in vista della Giornata Missionaria Mondiale, che verrà celebrata domani e «che segna il culmine dell’intero ottobre missionario».

Una ricorrenza che quest’anno viene condotta sul tema “Dalla parte dei poveri”, considerata dal vescovo di Rieti anche nell’ottica della «difficoltà economica che ieri come oggi può portare ad indebitarsi e allora si può cadere nelle mani di strozzini che finiscono per stringere la cinghia dopo essersi accreditati come salvatori».

A sostenere il ragionamento del vescovo un frammento dell’Esodo (Esodo, 22, 20-26) che precisa: «”Non dovete imporre alcun interesse”. E qui – ha aggiunto don Domenico – si aprirebbe tutta una riflessione su questa crescita di usurai che vestono i panni delle persone perbene».

Essere perbene, infatti, vuol dire «non trattenere il mantello come pegno quando fa buio se questo è l’unico con cui ripararsi dal freddo. Anche qui la parola e tagliente: “Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso”».

Ad emergere dalle Scritture è un Dio «pietoso, misericordioso e che “sta dalla parte dei deboli”. Ecco perché a chi crede in Lui non può accadere di stare dall’altra parte». E dalla lezione del vescovo siapprende il senso di uno «sguardo dal basso», che «capovolge il nostro modo di vedere la realtà ed introduce un nuovo modo di pensare e di agire».

Una condizione che don Domenico ha voluto illuminare con le parole del teologo Bonhoeffer: «Resta un’esperienza di incomparabile valore l’aver imparato a vedere dal basso i grandi avvenimenti della storia del mondo, nella prospettiva degli esclusi, dei sospettati, dei maltrattati, dei deboli, degli oppressi e derisi, in breve dei sofferenti. È già tanto se in questo tempo l’amarezza e l’invidia non hanno divorato il cuore, ma anzi guardiamo con occhi nuovi la grandezza e la meschinità, la felicità è l’infelicità, la forza e la debolezza, è la nostra capacità di vedere la grandezza, l’umanità, il diritto e la misericordia è diventata più chiara, più libera, più incorruttibile e la sofferenza personale è una chiave più idonea, un principio più fecondo della felicità personale nell’accedere al mondo con la riflessione e la pratica. Tutto dipende solo dal non trasformare questa prospettiva dal basso in uno schierarsi con gli eterni scontenti, e invece nel far giustizia e nell’affermare la vita in tutta le sue dimensioni, sulla base di una contentezza maggiore, i cui fondamenti non sono né in alto ne’ in basso, ma al di là di queste dimensioni».