Parrocchie

Il vescovo Domenico ai parrocchiani di Regina Pacis: «Non sarete da soli»

La scorsa domenica nella parrocchia reatina di Regina Pacis il vescovo Domenico ha presentato ai fedeli i sacerdoti che guideranno la comunità nei prossimi mesi, in seguito alla conclusione del servizio pastorale di don Ferdinando Tiburzi

«Un credente è tale se mette in conto che Dio gli si può fare da presso in qualsiasi momento». Il senso profondo dell’attesa, di quel “vegliate” richiamato dalla liturgia della prima domenica di Avvento, ha voluto sottolineare il vescovo Domenico nel presiedere, la mattina del primo dicembre, la Messa principale nella chiesa parrocchiale di Regina Pacis.

Prima di recarsi a Greccio per gli ultimi preparativi nell’imminenza dell’arrivo del Papa, monsignor Pompili ha fatto tappa nella parrocchia cittadina per presentare ufficialmente ai fedeli i sacerdoti deputati alla guida della comunità nei prossimi mesi, dopo che, il giorno di Cristo Re, don Ferdinando Tiburzi aveva annunciato ai fedeli la conclusione del proprio ministero, dopo tre anni in cui è stato parroco.

Con l’Avvento (in realtà avevano iniziato a farsi vedere già durante la settimana per le Messe feriali) si è avviato nella parrocchia di piazza Matteocci il servizio pastorale di don Jean Baptiste Sano, parroco di Villa Reatina, nominato da Pompili amministratore parrocchiale ad interim, affiancato da dal suo connazionale ruandese don Phocas Hitimana, uno dei preti studenti che sono “in prestito” per qualche anno alla diocesi reatina.

Il vescovo ha presieduto l’Eucaristia domenicale, concelebrata dai due sacerdoti, e nell’omelia ha posto in collegamento questa dimensione dell’attesa con il momento che la comunità parrocchiale è chiamata a vivere.

«Siamo capaci di attendere? La nostra generazione afflitta dall’impazienza è come incapace di aspettare qualcosa e qualcuno». E per la comunità di Regina Pacis, «dopo le parole di domenica scorsa di don Ferdinando, che ha rassegnato le sue dimissioni al compimento dei 75 anni, il tempo che abbiamo davanti è il tempo dell’attesa», ha detto monsignore. Attesa del nuovo parroco, che Pompili nominerà nei prossimi mesi. E questo tempo, ha tenuto a dire il presule ai parrocchiani, «non deve passare inutilmente, come una forma distratta di per arrivare poi al giorno in cui verrà definito il nuovo parroco. Deve essere un tempo di attesa vigile, che aiuti ciascuno a farsi qualche domanda intorno al senso di questa appartenenza alla comunità».

Un periodo «in cui non sarete da soli», ha detto il vescovo presentando i due presbiteri che guideranno provvisoriamente la parrocchia. «Due presenze che vi accompagneranno in questo tempo di attesa, che dovrebbe aiutare ciascuno a farsi due domande. Innanzitutto, prima di domandarmi che cosa devo aspettarmi dalla parrocchia, chiedermi: io che cosa sono disposto a dare a questa parrocchia. Perché è troppo facile volersi attendere dalla parrocchia tutta una serie di situazione, senza poi mettersi mai in gioco».

La seconda domanda da farsi, ha continuato il vescovo facendo riferimento alla scelta di don Tiburzi di mettersi da parte dopo una vita intera passata a servizio della Chiesa, «è persuadersi che ogni servizio nella Chiesa è a tempo. Nessuno può pensare di essere per sempre. E questo, che don Ferdinando ha saputo interpretare in modo così nitido, deve aiutare anche noi a renderci conto che ogni servizio non è una assunzione di rendita da dover difendere, ma è piuttosto un dono da restituire». Nessuno, dunque, può pensare «di essere nel suo servizio inamovibile e tantomeno eterno».

E in questo, ha detto don Domenico in riferimento al brano evangelico, è di aiuto l’invito di Gesù a vegliare “perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”: Gesù «non vuole incutere soggezione, non vuole fare terrorismo psicologico, vuole però aiutarci a resistere all’apatia del nostro tempo». E la capacità di vegliare, la saggezza previdente verso il futuro è anche ciò che insegna Noè, citato da Gesù nello stesso passo. La parrocchia, ha detto monsignore, è un po’ «come un’arca… Se ci pensiamo lo spazio architettonico della chiesa si chiama “navata”, perché la Chiesa è come una nave in mezzo al mare tempestoso della storia». La chiesa è il luogo non solo dove si celebra, «ma il luogo delle relazioni che fa crescere le generazioni: una parrocchia è viva se intesse continuamente relazioni, consentendo alle diverse fasce di persone di poter crescere».

E l’ultima riflessione Pompili l’ha presa dalle parole di san Paolo nella seconda lettura: “è ormai tempo di svegliarvi dal sonno”. Il rischio della Chiesa, infatti, «è quello che si chiama sonnambulismo», che consiste, ha detto il presule, «in due difetti: il primo è dire che in fondo è il passato, o tutt’al più il presente ciò che conta. Regina Pacis, ho sempre sentito da quando sono qua, è sempre stata una parrocchia importante, era il quartiere delle famiglie giovani, dove, in una Rieti che sognava uno sviluppo industriale ben più sostanzioso di quello che poi si sarebbe rivelato, pensava di traguardare molti livelli. Ma chi volesse considerare Regina Pacis solo a partire da quello che fu, non fa molta strada: entra in questo sonnambulismo, in cui si vive di ricordi. E l’altro difetto è quello di pensare che, siccome non conta il futuro che sta per bussare alle nostre porte, ma conta passato e presente, l’unico imperativo sia “si è sempre fatto così”, e perciò guai a muovere qualunque cosa. Ecco, in entrambi i casi si entra dentro un sonnambulismo che ci allontana dalla storia».