È andato in scena mercoledì 24 maggio presso il teatro Flavio Vespasiano lo spettacolo “Il Silenzio degli Dei”. L’evento, organizzato dalla cooperativa sociale San Michele Arcangelo con la Prefettura di Rieti, rientra tra le attività del progetto Tappe di un viaggio di anime, che dal 2015 ha l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini sul fenomeno dell’immigrazione e sull’importanza dell’integrazione.
Lo spettacolo, che ha fatto registrare il tutto esaurito ed è stato realizzato in collaborazione con Rieti respira Africa e Uisp comitato di Rieti, è il frutto di incontri-laboratori artistici condotti da Matteo Colasanti, Ilaria Nobili, Laura Desideri e Cheikh Byefall, con il coinvolgimento degli studenti dell’Istituto Magistrale “Elena Principessa di Napoli”, nell’ambito dell’alternanza scuola lavoro.
Una scenografia volta all’essenzialità: aperto il sipario, lo spettatore si è trovato di fronte ad un cono di luce con un uomo al suo interno, lateralmente una coppia di musicisti e una lunga pausa di silenzio. È stato chiaro fin da subito che lo spettacolo sarebbe stato un invito alla riflessione: impossibile rimanere distaccati da tale assordante silenzio.
Cheikh Byefall, illuminato al centro del palco, è lo scrittore e l’interprete del monologo recitato di fronte ad una platea multiculturale, simbolo di una città che vuole comprendere il fenomeno migratorio e lavorare per un’accoglienza integrata.
Lontano da moralismi, il racconto è sincero e realistico, tanto da ritrovarsi con lui quando descrive un’Africa distrutta dai conflitti interni, dai fanatismi religiosi e dalla tanta e inimmaginabile violenza che ne scaturisce. Se uomini, donne e bambini scappano da quelle terre c’è poco da meravigliarsi: sono accomunati da un’unica ambizione: avere un futuro.
«Il sogno – dice Cheikh – è diventato una sfida: avevamo la consapevolezza di poter morire annegati, ma la speranza era più forte della paura di morire». La sua voce è quella di tanti altri che hanno lasciato i propri cari, perduto in mare parenti ed amici d’infanzia; la voce di quanti sono stati privati della dignità dalla violenza delle prigioni libiche; la voce di chi non è sopravvissuto.
Una frase risuona nella penombra: «Chi sono? Chi siamo?». L’artista senegalese condivide con chi lo ascolta la difficoltà di ritrovarsi spogliati di un’identità: clandestini, richiedenti asilo, naufraghi, profughi, rifugiati. Un invito ad essere guardati solo come esseri umani.
Canti africani echeggiano nel teatro e il monologo viene scandito dalle musiche dei Dharmanbus di Laura Desideri e Matteo Colasanti e dalle danze, curate da Ilaria Nobili, degli studenti e dei ragazzi della cooperativa.
Uno spettacolo commuovente nella sua essenzialità, una sapiente scelta per far dialogare culture differenti, grazie alla quale «l’arte diventa legame e linguaggio, inteso come uno sguardo che va al di là delle parole», ha spiegato in apertura il conduttore Stefano Meloccaro.
Era presente alla serata Gabriele Giraldi, presidente della Cooperativa Sma, che emozionato per la grande partecipazione ha ribadito: «l’accoglienza è un dovere». In sala anche l’assessore ai Servizi sociali del Comune di Rieti, Giovanna Palomba, e il sindaco di Cittaducale, Leonardo Ranalli, che hanno aperto le porte dei propri comuni alle persone richiedenti asilo.
(Foto di Massimo Renzi)