Musica

Il promoter musicale: «Fino ad agosto stop agli eventi»

Il pensiero di Claudio Trotta, che, tra gli altri, cura i concerti italiani di Bruce Springsteen: «La musica aiuterà a ricostruire»

La mancanza di prospettive e l’inaridimento culturale di un Paese, l’Italia, in cui si legge poco, si va poco a teatro e si ascolta poca musica. Il coronavirus ha costretto un intero Paese (e pure il resto del mondo) a fermarsi, a chiudere le proprie porte e a smettere le proprie attività, interrompendole o rinviandole. Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts e Slow Music, è uno dei più importanti organizzatori di spettacoli dal vivo, storico promoter in Italia, tra gli altri, di Bruce Springsteen. Interpellato dall’agenzia Dire, ha fatto il punto della situazione a proposito degli spettacoli dal vivo al tempo dell’emergenza Covid-19, evidenziando, dal punto di vista della sua esperienza, le possibili conseguenze. “Non è tanto importante che noi non si lavori in generale, ma è importante cosa significhi il fatto che non si lavori. Non si lavora nel senso che non si concretizza quello per cui si lavora, perché non abbiamo purtroppo prospettive temporali definite- spiega- E quando lo faremo, non so se tutti saranno pronti ad affrontare il post emergenza sanitaria. Allo stato dell’arte non abbiamo prospettive. Non sappiamo cosa succederà. Non sono catastrofista ma è bene che si sia realisti. Se pensiamo che tra qualche settimana sarà tutto risolto, sbagliamo”.

Quella che stiamo affrontando è una emergenza sanitaria senza precedenti, forse in Italia anche conseguenza dei nostri errori: “Se non avessero fatto tagli per 36 miliardi alla sanità, tutti gli schieramenti governativi e i governi regionali che si sono succeduti negli ultimi 10 anni, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione cosi’ drammatica, e non dovremmo dolorosamente assistere alla perdita quotidiana di dottori e infermieri, eroi nazionali allo stremo delle loro forze”.

Su cosa fare e come affrontare la questione, Trotta ha le idee chiare: “Una doppia modalità, quella con l’emergenza immediata e quella con la programmazione futura. Per il tessuto sociale è importante ciò che significa l’intrattenimento. Non è importante il tour in sé che non si fa, ma il fatto che non ci sia alcuna attività che alimenti l’animo e che non sappiamo quando si potra’ ricominciare. La musica e la cultura hanno un grande potere ricostruttivo. Chiudono e leniscono le ferite. Ma giustamente ci dicono di stare a casa e noi dobbiamo obbedire. Quindi il rischio è palpabile. Ci sono spettacoli che saranno riprogrammabili ed altri no“. Ora, “bisognerà stare attenti a quello che succederà, il mio timore personale è che si dovrà riprogrammare tutto almeno fino a fine agosto. Quello che è preoccupante è l’inaridimento culturale che tutto questo comporterà, in un Paese che già legge poco, va poco a teatro, che ascolta poca musica perché sostanzialmente la subisce nella stragrande maggioranza del sistema radio-televisivo e nei martellamenti di ogni genere della rete. Ascoltare musica è un’altra cosa. La gente che ascolta musica non è molta in questo Paese purtroppo. Questa situazione può provocare danni gravissimi, quanto quelli del virus. Si muore fisicamente, ma si muore anche dentro. Quando succede, resta il fatto che non si vive bene“.

Pensare solo all’immediato non è forse il modo migliore di affrontare la situazione: “Non serve pensare ai problemi che ho e che avrò. Non è che pensandoci, mettendomi le mani nei capelli, o chiedendo aiuto, risolvo qualcosa. Bisogna tirarsi su le maniche, in Barley Arts abbiamo attivato il telelavoro da tre settimane, si dialoga e si continua a prospettare il futuro. Mi tocca particolarmente, però, la mancanza di chiara prospettiva”.

Torna poi su l’ipotesi della riprogrammazione degli eventi fino almeno a fine agosto: “Penso che andrà così perché l’attenzione verso il coronavirus si sta attivando nei vari Paesi europei con tempi diversi. Questo diverso approccio nel mondo li prolungherà. Credo proprio che tutte le frontiere dei diversi Paesi saranno chiuse. L’Europa non sarà ‘viaggiabile’ per svariati mesi. L’Europa si è rivelata di cartapesta, avremmo dovuto fare tutti la stessa cosa, come è stato fatto in Cina. Oggi credo sia più pericoloso stare ammassati nei supermercati di quanto non lo siano quelli che fanno attività fisica o camminano da soli nelle strade deserte. C’è anche il discorso della psicosi: quando saremo usciti dall’incubo, se è vero che da una parte avremo una grande voglia di vita, di colletività, dall’altra in noi ci saranno recondite paure”.

Al coronavirus “le persone, le famiglie, gli uomini, le donne, stanno reagendo in maniera differenziata. Chi ha impostato la propria vita su valori superficiali, ora se lo trova di fronte quel nulla, ed è per loro problematico, non c’è via di uscita. Ma è anche vero che le persone hanno responsabilità e capacità economiche diverse. Le preoccupazioni per il futuro appartengono alla stragrande maggioranza delle persone”. Quando sarà passata l’emergenza coronavirus “temo che se tutto tornera’ come prima che ci potranno essere altre emergenze. Uomini e donne stanno uccidendo la Terra, non capisco chi in questa situazione polemizza contro gli ambientalisti. Bisogna fermarsi e capire che se non si rivedranno’ le priorita’ personali e collettive e non si rimettera’ al centro l’umanita’ al posto del potere e del denaro i nostri figli e i nostri nipoti avranno un futuro sempre peggiore. Se invece si imparerà qualcosa da tutto questo ci potra’ forse essere un mondo migliore. Sicuramente molti saremo più poveri e forse si arricchiranno sempre i soliti”.  Il problema, secondo Trotta, “non è il fatto che potrebbero non esserci i grandi eventi, ma che non potremo lavorare”.

Prendiamo il caso del primo maggio, “il concertone per quanto ne ho sentito dire è già stato cancellato. Il problema è per tutte le persone che ci lavorano che non hanno paracaduti sociali. Per i tecnici, per i facchini, per i musicisti e non solo e non principalmente per i cantanti e gruppi famosi”. Allo stato dell’arte, come Barley Arts, “abbiamo riprogrammato marzo e aprile. Alcuni sono stati cancellati, altri riprogrammati. Abbiamo cancellato le tappe di We Will Rock You di Mestre e Vicenza e non le abbiamo ancora potute riprogrammare. Abbiamo riprogrammato We Will Rock You a Milano, a maggio, ma secondo me non si fara in quel periodo. Insieme ad artisti e agenti stiamo riprogrammando da maggio in poi, valutando le cose. Ci stiamo tenendo una finestra aperta da luglio in poi, siamo nella speranza. Dal punto di vista degli artisti internazionali come ho detto prima ogni Paese sta facendo in maniera diversa e questo allungherà i tempi”. L’emergenza coronavirus, secondo il fondatore di Barley Arts, potrebbe essere un’occasione anche per tutta la filiera della musica live e per il pubblico: “È arrivato il momento di riconsiderare due aspetti. Il primo, la crescita esponenziale del prezzo dei biglietti, due la dimensione delle produzioni. Questa corsa folle ad avere produzione più grossa, con più camion in giro, più inquinamento. La gente ama musica per quello che gli trasmette non per quello che gli fa vedere ma quello che gli fa provare e per le emozioni creative che genera. La musica si sente, si ascolta e si guardano le espressioni di quelli che suonano, se non c’è la mega produzione, resta la musica che è la cosa più importante. Mi auguro che ci sarà un ripensamento, si abbassino i prezzi dei biglietti e si cambi la logica delle mega produzioni con questa montagna di camion”. Bastano “il suono per sentire e le luci per vedere. Il resto è spesso sovrastruttura”.

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