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Il premier Draghi in visita in Libia: ecco perché

I dossier: la costruzione dell'autostrada costiera, il ripristino dell'aeroporto internazionale, il rifinanziamento delle attività nel Paese, a partire dalle gestione dei migranti. E i diritti umani

Osservatori e diplomatici non hanno dubbi. Il viaggio di Mario Draghi in Libia non sarà una passerella. Un viaggio lampo – il primo all’estero – che culminerà nella tarda mattinata di domani, martedì 6 aprile, con una dichiarazione congiunta insieme al neopremier libico Abdul Hamid Dbeibah, insediato un mese fa in un Governo unificato sotto l’egida dell’Onu.

Il premier si reca nel Paese per riaffermare il ruolo internazionale dell’Italia e al contempo tutelarne gli interessi. “A patto – ripete una fonte della diplomazia Onu a Tripoli – di considerare i diritti umani come un primario interesse italiano”. Potrebbe essere questo il cambio di passo che Draghi potrebbe imprimere alle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo. Subordinare la presenza italiana a un percorso verso il crescente rispetto dei diritti fondamentali.

A differenza dei suoi predecessori, fanno notare diversi osservatori e anche diversi manager di aziende private, Draghi può portare in dote un ruolo di garante, ad esempio, nella unificazione e nella ristrutturazione della Banca centrale libica, il cui riassetto è in parte affidato a esperti inviati dalla tedesca Bundesbank. E nessuno come Mario Draghi conosce i meccanismi e i contrappesi politici nelle relazioni tra le banche centrali europee e le ricadute su Tripoli.

Nella mattinata di domani il primo ministro italiano e il neopremier libico Abdul Hamid Dbeibah firmeranno una dichiarazione congiunta. Il terreno è stato preparato da due rapide missioni del ministro degli Esteri Luigi Di Maio il 21 e 25 marzo, quando venne confermato il sostegno italiano al governo di unità nazionale, d’altro canto rilanciando progetti infrastrutturali messi in campo da tempo da Roma e Tripoli e mai realizzata.

A cominciare dall’autostrada costiera dal confine tunisino a Bengasi, che prima ancora d’essere realizzata viene già chiamata “Salerno-Reggio Calabria” libica, alludendo alla quantità di interessi territoriali, condizionamenti politici, pretese dei clan lungo tutto il tragitto. I più ottimisti la chiamano “autostrada della pace”, ma nel Paese le municipalità si preparano a negoziare su ogni singolo metro d’asfalto.

Poi c’è da ricostruire l’aeroporto internazionale della capitale Tripoli, i cui lavori a suo tempo furono assegnati a un consorzio italiano. Ci sarà da proteggere il ruolo dell’Eni, uscita ridimensionata dal conflitto decennale che ha aperto nuove vie d’accesso agli idrocarburi alle multinazionali francesi e anche a quelle russe. La grande arteria costiera, secondo gli accordi siglati nel 2008 dall’allora premier Silvio Berlusconi e dal colonnello Muammar Gheddafi, avrebbe dovuto attraversare la Libia per 1.750 chilometri, come risarcimento per i danni causati dall’Italia durante il periodo coloniale. Il tracciato è quello della strada fascista, inaugurata nel 1937 da Benito Mussolini e conosciuta anche come “via Balbia”, evocando le azioni di Italo Balbo.

L’Italia però dovrà decidere nelle prossime settimane attraverso il Parlamento il rifinanziamento delle attività in Libia. Al centro, ancora una volta, la gestione dei flussi migratori. Fino ad ora Tripoli ha ottenuto da Roma e dall’Ue centinaia di milioni solo per la cosiddetta guardia costiera, suddivisa in svariate polizie marittime, il cui ruolo è contestato soprattutto dalle organizzazioni internazionali e dalle Nazioni Unite. Di recente si è affermata una nuova sigla, i guardacoste del “Gacs”, una milizia del mare che risponde al ministero dell’Interno e i cui ufficiali vengono addestrati anche dalla Guardia di finanza italiana a Gaeta.

La vera sfida, però, sarà la revisione dei campi di prigionia dei migranti. Per le milizie si tratta di un “capitale” da sfruttare anche sui tavoli del negoziato politico e sembrano disposte a non rinunciare al loro controllo.

Perciò il successo e la caratura internazionale di Mario Draghi si misureranno soprattutto su questo piano, laddove fino ad ora un barile di petrolio conta di più di un profugo in catene.

da avvenire.it