Il paradosso fiscale

Le Regioni del Nord e del Centro danno troppo. Quelle del Sud ricevono troppo

Mai ricerca è stata più esaustiva per descrivere una situazione divenuta insopportabile, in termini di giustizia sociale e di equità, insieme a tutti gli altri principi che sono a base del nostro testo costituzionale. Si tratta dei dati diffusi dall’’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha calcolato il residuo fiscale di ogni Regione italiana, dalla quale emerge che le regioni del Nord – i dati si riferiscono al 2012 – danno oltre 100 miliardi di euro all’anno di solidarietà al resto del Paese, versando molto più di quanto ricevono. Questa cifra deriva dalla somma dei residui fiscali di ciascuna regione: la differenza tra le entrate complessive regionalizzate (fiscali e contributive) e le spese complessive regionalizzate (al netto di quelle per interessi) delle Amministrazioni pubbliche.

Su tutte le regioni, spicca la Lombardia, che ha un residuo fiscale annuo positivo pari a 53,9 miliardi di euro: ogni cittadino lombardo (neonati e ultracentenari compresi) dà in solidarietà al resto del Paese oltre 5.500 euro all’anno. Ogni residente del Veneto dà all’anno 3.733 euro. Chi vive in Emilia Romagna, 4.076 euro, chi in Piemonte, 2.418 euro all’anno, chi in Liguria, 701 euro. Più contenuto, ma altrettanto positivo, il residuo fiscale delle regioni del centro.

Tutte le regioni meridionali, invece, ricevono di più di quanto versano. La Sicilia è in testa: ha il peggior saldo tra tutte le 20 regioni, pari a -8,9 miliardi di euro, che si traduce in un dato pro-capite pari a 1.782 euro. In Calabria, il residuo è pari a -4,7 miliardi di euro (-2.408 euro pro-capite), in Sardegna a -4,2 miliardi (- 2.566 euro per ogni residente), in Campania a -4,1 miliardi (-714 euro per ciascun abitante) e in Puglia a -3,4 miliardi di euro (- 861 euro pro-capite).

Considerazioni? Ci sembrano evidenti, solo che nessuno sembra voglia vedere i fatti che si consumano. Non si può continuare a perpetuare una situazione dove una parte della popolazione è costretta a pagare – in termini di aumento delle tasse locali, di diminuzione delle risorse per le infrastrutture, per la sanità, per il trasporto pubblico, per la scuola e per tutti i restanti comparti del settore pubblico – debiti di un’altra parte. Di conseguenza, se non vi si pone rimedio, accanto alla “questione meridionale”, che è divenuta un vero e proprio simulacro, diverrà sempre più minacciosa un’altra grande questione: quella “settentrionale”, che finora è rimasta relegata alle discussioni nei convegni ed è di tanto in tanto strumentalmente adoperata. I ceti dirigenti meridionali, dal canto loro, lascino perdere i piagnistei di cui sono capaci da troppo tempo e prendano atto di una situazione che è il risultato della loro azione, che si è finora dimostrata inefficace e improduttiva rispetto all’agognato riscatto del popolo che dovrebbero amministrare.

La cartina di tornasole di quello che avviene è costituita dall’accanimento e dal disinteresse – per certi versi, comprensibile – con i quali è stata trattata la questione del federalismo fiscale: l’unica riforma in grado di valorizzare i territori che amministrano in maniera virtuosa a scapito di quelli che fanno esattamente il contrario. Una riforma rischiosa – perché metterebbe a dura prova chi negli ultimi decenni ha depredato le risorse del Sud in maniera scriteriata – ma necessaria, se è rimasto ancora un barlume di volontà di agire con serietà e nell’interesse di tutti.