Il duello tra Pechino e BigG

Improvviso blackout del servizio di posta elettronica a cavallo dell’anno

Dopo un blackout completo durato diversi giorni, nel passaggio tra il 2014 ed il 2015, Gmail torna a funzionare in quel di Pechino (più o meno). L’interruzione del servizio di posta elettronica di Mountain View è solo l’ultimo episodio di una lunga lista di strette date da Pechino alla più grande (e pericolosa!) porta di accesso ad Internet. A creare un caso, in questa circostanza, sono le modalità di oscuramento e di ripristino del servizio: tutto è avvenuto in modo improvviso e (soprattutto il ripristino) senza alcuna apparente ragione.

Uno scontro, quello tra Pechino e BigG, iniziato ormai oltre un decennio fa, ma che dal 2009 si è innalzato di livello: a gennaio di quell’anno il Ciirc (l’organo di vigilanza su Internet di Pechino) accusa Google China di non aver rispettato “le richieste fatte dalla legge e dalle normative del Paese, facendo passare oltre le nostre frontiere un grande quantitativo di contenuti web porno”. Una scusa, quella pornografia, come denunciano, in modo evidente, tutti gli episodi successivi. A dicembre dello stesso anno gli esperti della sicurezza di Google individuano un “attacco molto sofisticato e mirato”, proveniente dalla Cina, al servizio Gmail: gli hacker hanno cercato di penetrare gli account e-mail di alcuni attivisti cinesi, impegnati nella difesa dei diritti umani. Google risponde decidendo di non continuare più a “censurare i risultati delle ricerche su Google.cn”, è il gennaio del 2010. Al fianco del Motore si schiera anche la Casa Bianca ed a marzo BigG decide di uscire dalla Cina: tutto il traffico diretto a google.cn (il sito cinese) viene dirottato verso google.com.hk (il sito di Hong Kong), bypassando così la censura di Pechino. Lo strappo dura poco, a luglio Google torna sui suoi passi e blocca il reindirizzamento del traffico, ma è solo una pausa tra una battaglia ed un’altra. A Giugno del 2011 un nuovo attacco a Gmail: violati gli account di funzionari del Governo degli Stati Uniti, attivisti politici cinesi, burocrati delle nazioni asiatiche e soprattutto della Corea del Sud, personale militare e giornalisti indipendenti. L’attacco questa volta è più vasto e colpisce anche i servizi Hotmail di Microsoft e la posta elettronica di Yahoo. Ancora una volta il Governo USA si schiera al fianco del motore di ricerca e delle altre società colpite. Agli inizi del 2013 Google capitola e decide di eliminare la “funzione anticensura”, che avvertiva gli internauti cinesi che la parola che si stava cercando poteva essere “sensibile” per il governo di Pechino, così da consentire loro di non andare avanti e di evitare, quindi, denunce e punizioni.

Nonostante tutto, però, Pechino ha messo una stretta su diversi servizi Google come, ad esempio, il motore di ricerca e il servizio Maps, per un totale di 599 siti che fanno capo alla società di Mountain View. Anche Gmail era tra i servizi colpiti, ma solo parzialmente: il sito web era inaccessibile da tempo, ma la posta @gmail era comunque consultabile per i residenti cinesi grazie ad applicazioni di terze parti. Il 26 dicembre scorso, però, da Mountain View hanno registrato un crollo del traffico repentino: -85% in pochi minuti e servizi inaccessibili a causa di un blocco a livello IP, come confermano gli esperti di Dyn Research che si occupa a livello internazionale di analisi del traffico Internet. Pochi giorni fa il blackout è parzialmente rientrato: gli internauti più esperti possono accedere a Gmail da oltre la Muraglia utilizzando delle VPN, ma per quanto ancora?