Ristampata una conferenza del filosofo Henri Bergson

“I fenomeni stanno alla vita mentale come i movimenti del direttore d’orchestra stanno alla sinfonia: ne tracciano le articolazioni motrici e nient’altro”.

Siamo nel 1913, a Londra. Il grande filosofo Henri Bergson, assurto alle glorie accademiche grazie alle sue “scandalose” (per gli intellettuali scettici e alla moda) lezioni al Collége de France e a due volumi che rivoluzioneranno il pensiero occidentale, “Materia e memoria” (1896) e “L’evoluzione creatrice” (1907), tiene una conferenza. L’associazione che lo ha invitato è davvero singolare: si tratta della Società per la Ricerca Psichica, fondata nel 1885 con il programma di sostenere ricerche su attività, sono parole loro, “medianiche” e “paranormali”. Che ci fa uno dei padri della filosofia contemporanea, che si stava avvicinando, pur essendo di famiglia ebraica, al cristianesimo, dentro un circolo del genere? Quello che ci facevano altri membri che rispondevano agli ingombranti nomi di Lewis Carrol, il padre di Alice nel paese delle meraviglie, o del grande psicoanalista Karl Gustav Jung, o del creatore di Sherlock Holmes, Arthur Conan Doyle o del celebre –già allora- scrittore Mark Twain, piuttosto portato allo scetticismo e ad un sano realismo che allo spiritismo. Se poi si mette nel conto che tra i presidenti della SPR ci furono il grande filosofo e psicologo William James, oltre che lo stesso Bergson, il quadro è evidente: quasi tutti quei personaggi venivano da una dura battaglia contro il determinismo ottocentesco, contro il materialismo allo stato puro, contro la disperante ossessione di quelli che volevano che gli uomini precipitassero nella disperazione del non senso. Il tempo in cui, come genialmente e proprio in quegli stessi anni scriveva Chesterton, “la scienza proclamava il nulla, l’arte ammirava la decadenza”.
Non era però un club di ossessi dell’occultismo, tanto che qualche anno prima c’era stata una scissione proprio ad opera dei fanatici dello spiritismo, ma piuttosto un gruppo di persone che cercava disperatamente una strada diversa da quella del “tutto è materia”. E il futuro premio Nobel –lo riceverà nel 1927- lo sapeva. Per questo parte abilmente dai fenomeni di comunicazione a migliaia di chilometri di distanza, di apparizione –ovviamente non in sedute spiritiche- di persone appena defunte o vive ai propri cari per arrivare là dove vuole lui: allo spirito, non allo spiritismo. Quando giunge a quel punto, senza quasi avere l’impressione di farlo, sferra un attacco micidiale quanto leggero e ironico al materialismo positivistico.
Ora è possibile gustare il testo di questa conferenza grazie al piccolo e grazioso libretto (48 pagine) delle edizioni Eliot, intitolato “Fantasmi”. Che tra l’altro è fuorviante, perché l’originale suonava “Fantȏmes de vivants et recherche psychique”, “fantasmi (ma anche “apparizioni”, “ombre”) di persone viventi e ricerche psichiche”, vale a dire che non si tratta di una approvazione di tutti i fenomeni attribuiti a “fantasmi”: Bergson in realtà va in una direzione diversa, e lo dice apertamente: la constatazione della “indipendenza pressochè totale della coscienza nei confronti del corpo”.
In poche parole il grande pensatore è partito da una parte per arrivare da un’altra, al grande mare di un essere che non è limitato solo dal suo spazio fisico, perché ne è indipendente, perché è più potente anche se il corpo limita quella potenza, altrimenti non potrebbe sostenerla. Bergson ha ottenuto quello che voleva, e, per di più ha convinto la platea -abituata ad ascoltare Jung, Carrol, Twain, James, non dimentichiamolo- che le energie dello spirito vanno usate in modo positivo, per cercare valori e verità oltre l’apparenza: “il tempo dedicato alla confutazione è generalmente tempo sprecato”. Un invito all’ottimismo e al coraggio dell’indipendenza in tempi in cui tutto sembra stabilito una volta per tutte. La stessa scienza, tra Einstein e Heisenberg, stava per demolire quella falsa sicurezza.