I morti di Dacca, vittime della globalizzazione?

Il Bangladesh, sembra una terra lontana. Ma nel mondo globalizzato è dietro l’angolo. Soprattutto quando la follia terrorista spezza la vita di una giovane donna nata a pochi chilometri da te. Allora Dacca si fa improvvisamente vicina a Magliano Sabina, e allo sgomento per l’attentato si somma un sentimento nuovo. Le contraddizioni del mondo si sono sempre fatte sentire fin sotto casa, ma ora sembrano essersi fatte più presenti e immediate.

Forse perché i giornali locali rilanciano con forza ogni frammento di notizia. Forse perché sui social monta feroce la voglia della legge del taglione, si fa avanti una disordinata e sconclusionata chiamata alle armi, al «fuori tutti», all’odio contro l’odio.

Ma la logica dell’«occhio per occhio» rende tutto il mondo cieco. Non che vadano esclusi una reazione di forza e un’adeguata difesa se è il caso: è che forse non bastano, non sono mai bastati. Ma allora a cosa appellarsi? Considerato lo sfondo religioso sul quale vengono innestate queste violenze, può forse tornare utile la figura di san Domenico. La sua esperienza, ricordava il vescovo Pompili nell’anniversario della canonizzazione, avvenuta proprio a Rieti il 3 luglio del 1234, sembrerebbe poter indicare un metodo anche agli uomini di oggi.

«Domenico – ha detto infatti il vescovo – si ritrovò in mezzo alla violenza del suo tempo», ma ebbe la lucidità per intuire che la risposta andava cercata nella «sobrietà della vita unita ad una rigorosa preparazione culturale». Una posizione assunta contro l’eresia albigese, ma che sembra valida anche di fronte agli orrori del presente. Perché suona come un invito ad approfondire, ad affrontare la realtà con il cervello oltre che con le viscere, a verificare, ad esempio, se non sono anche le ingiustizie globali a fornire le truppe all’ideologia che ammanta di religiosità il terrorismo abusando del nome di Dio.

C’è da chiedersi se Simona Monti e il bambino che portava in grembo, insieme agli altri morti di Dacca, non siano vittime della globalizzazione, delle contraddizioni di un processo che avrebbe dovuto inondare di prodotti a basso costo i popoli ricchi sollevando nel contempo i popoli poveri dalla miseria.

Le vittime di Dacca lavoravano nell’industria del tessile. Un’indagine di «Bloomberg» mostra che a un paio di jeans prodotti in Bangladesh, e venduti dalla grande distribuzione in Occidente a 22 dollari, corrisponde un costo di fabbrica di 90 centesimi, comprensivi di salari, spese operative e misure di sicurezza per i lavoratori.

E allora viene il dubbio che le rivendicazioni religiose siano la maschera di rancori più profondi e di problemi più vasti. Un dubbio che conviene conservare: perché la violenza non ha mai giustificazione, ma a rintracciarne le ragioni si può tentare la correzione e la prevenzione.