Gli “altri” del Risorgimento: uomini e donne che hanno vissuto l’Unità d’Italia come un processo dall’alto

La rivisitazione dello storico Giuseppe Zichi: “I giovani del Risorgimento, il cui protagonismo è stato molto approfondito dalla ricerca storica, non sono solo quelli della ‘Giovine Italia’ di Mazzini, ma anche quelli che decisero di partire per combattere, prima di tutto, una guerra tutta loro. In alcuni casi contro la fame, la povertà, l’ignoranza e contro la rigida disciplina militare”.

“Una associazione infame detta Camorra vuole introdursi nelle nostre onorate file. Il Camorrista specula sulla pusillanimità e paura che spera di trovare tra i Camerata [i commilitoni] e con minacce impone tasse ed estorce denaro altrui; invita al giuoco di carte od altro, e quando la truffa non ajuta nel guadagno vi mostra la punta del coltello per farvi cedere”. Siamo all’indomani dell’Unità d’Italia e a descrivere con sorprendente lucidità quello che oggi definiremmo il tentativo della criminalità organizzata di infiltrarsi negli apparati dello Stato è un alto ufficiale del Regio Esercito, il colonnello Agostino Cugia, algherese di nascita, avvocato militare.
Le sue carte sono state scoperte nell’archivio privato Simon Guillot di Alghero da un giovane ricercatore dell’università di Sassari, Giuseppe Zichi, che ne ha ricavato un lavoro puntigliosamente documentato e accattivante per la chiave di lettura: “Gli altri del Risorgimento. Disertori, insubordinati e briganti nelle carte di un ‘difensore’”, fresco di pubblicazione per l’editore Franco Angeli. Con lui parliamo di quelle che con linguaggio attuale potremmo chiamare le periferie del Risorgimento… ”In effetti – spiega Zichi – l’azione dei protagonisti del Risorgimento non si sarebbe mai potuta esplicare con profitto senza il concorso di molti ‘altri’, considerati talvolta a torto personaggi minori, il cui impegno sul campo è ancora oggi poco conosciuto, nonostante tutto quello che è stato scritto su questo periodo della nostra storia”.

Gli ‘altri’ del Risorgimento sono “tutti quegli uomini e quelle donne che hanno preso parte ai moti risorgimentali, anche se il più delle volte per obbligo, come i coscritti, e non per scelta convinta.

Le loro sono anche storie di disertori e renitenti, di militari e civili condannati in qualche caso per reati non loro. Uomini e donne che hanno vissuto l’Unità d’Italia come un processo dall’alto. Ed è così che i giovani del Risorgimento, il cui protagonismo è stato molto approfondito dalla ricerca storica, non sono solo quelli della ‘Giovine Italia’ di Mazzini, ma anche quelli che decisero di partire per combattere, prima di tutto, una guerra tutta loro. In alcuni casi contro la fame, la povertà, l’ignoranza e contro la rigida disciplina militare”.
Non si tratta di rinnegare il Risorgimento per una polemica anacronistica, ideologica tanto quanto l’enfasi con cui quel processo storico è stata talvolta raccontato tacendone limiti e contraddizioni, ma di allargare la prospettiva. “Le guerre risorgimentali – osserva Zichi – vantano molti episodi gloriosi, con manifestazioni d’eroismo e una grande capacità di sacrificio. Tuttavia, intrappolare gli uomini del Risorgimento in una gabbia interpretativa che privilegia il fenomeno del patriottismo lascia fuori tutti coloro che hanno visto in quella mobilitazione anche una possibile carta da giocare sul versante sociale”.

Soltanto tenendo presenti anche gli “altri” insieme a tutti i fattori che storicamente hanno agito in modo non riconducibile o addirittura avverso alla corrente principale del movimento nazionale – sostiene lo storico sardo – “si può comprendere pienamente l’Unità d’Italia”.
Emblematica di questa periferia del Risorgimento è la vicenda dei disertori, di coloro cioè che si erano macchiati del reato per definizione più critico per la tenuta dell’ordinamento militare. E quello che più apertamente contraddiceva la narrazione patriottica delle vicende belliche. Dalle carte del colonnello-avvocato Cugia emerge come non fosse la paura a spingere molti giovani ad allontanarsi dai propri battaglioni. “Il più delle volte – afferma Zichi – alla base dei casi di diserzione c’era un’assenza di pochi giorni. Talvolta i giovani padri andavano a trovare i figli appena nati oppure tornavano a casa per soccorrere le proprie famiglie cadute in stato d’indigenza”. In un Paese “in cui la maggior fonte di sussistenza restava l’agricoltura, in assenza dei loro uomini le donne erano costrette ad occuparsi contemporaneamente della gestione della famiglia e della coltivazione dei campi” ed è così – osserva lo storico – che i disertori erano soprattutto persone che appartenevano alle fasce sociali più deboli. Di questo c’era consapevolezza già allora, se Cugia, difendendo un disertore davanti al Consiglio di Guerra, si esprime in questi termini così carichi di umanità e di saggezza giuridica: “Eccolo da Voi qual violatore d’un impegno contratto. Egli è unicamente colpevole per aver questo violato: miratelo, la nuda indigenza…le sue smunte fattezze, contraffatte dalla fame, vi portino in di lui commiserazione, vedete a quanti mali è andato incontro, quanto possa l’eccesso dell’amor paterno, che a fronte di tutto il rigor della legge puote più in noi il sentimento di natura. Volete Voi estinguer questo? Voi non avete più Uomini, ma belve”.