Una bella catechesi per i giovani e per chi crede che dinanzi a Dio non fa mai male farsi giovani, farsi piccoli come Francesco. Un fine mattinata di sabato nell’assolata piazza cuore del festival francescano dove i gazebo riparano a fatica dal sole ottobrino che ancora picchia bene: ma vale la pena fermarsi per ascoltare don Gianvito Sanfilippo che propone una riflessione a partire dalla figura di Giuseppe, “il re dei sogni”.
Prete della diocesi di Roma, responsabile del centro vocazionale del seminario “Redemptoris Mater” di Roma e responsabile della fascia post-Cresima nell’ambito del Cammino Neocatecumenale, don Gianvito si fa seguire bene e parla dritto al cuore. Riprende la straordinaria storia del penultimo figlio di Giacobbe: quello preferito dal padre, venduto dai fratelli gelosi, finito in Egitto e da schiavo divenuto viceré fino ad accogliere gli israeliti che da Canaan si trasferiscono nella terra dei faraoni.
La ripercorre brevemente e con sagacia, don Vito, quella storia narrata negli ultimi capitoli della Genesi più avvincente di un romanzo, per aiutare a riflettere che, in fondo, Giuseppe è ciascuno di noi. La sua storia, così particolare e avventurosa, quasi da favola, è in realtà la vicenda di chi capisce che dietro ogni situazione c’è un disegno. È quella di chi, dinanzi ai fratelli che lo hanno tradito e che è capace di ritrovare e perdonare appunto “da fratello”, è capace di riconoscere che è stato Dio a farlo venire qui, che Dio si serve delle righe storte per scrivere dritto: «una visione diversa della storia, che vede come provvidenziale anche l’invidia, anche il peccato», dice il sacerdote.
Non va mai dimenticato, infatti, che la Bibbia non è solo una raccolta di storie del passato, belle e significative quanto vogliamo ma alla fine storie di qualcun altro: è Parola divina, «e come tale ha il potere di ripetersi, di parlare a ciascuno di noi nell’oggi della propria vita».
Quella di Giuseppe è la vicenda che fa ben comprendere la pedagogia di Dio, che si serve di due cose, fa capire la catechesi di don Gianvito: «Primo, l’esperienza dell’ingiustizia subita, che gli fa sperimentare che comunque Dio lo ha ascoltato». L’esperienza di finire ingiustamente condannato lo fa prefiguratore di Gesù stesso, «in una catena di giovani che sanno ascoltare», in cui prima di Cristo troviamo «il giovane Mosè, il giovane Davide, il giovane Neemia» e tanti altri, e anche dopo Gesù «il giovane Pietro, il giovane Francesco, il giovane Antonio, la giovane Teresa» e così via. «Chissà, qui a Rieti, quanti giovani sta ancora chiamando Dio attraverso le ingiustizie», attraverso le prove che vengono subite e che servono a crescere per capire che Dio non abbandona e con un male prepara un bene più grande.
La seconda cosa di cui Dio si serve è quella tentazione cui il giovane Giuseppe resistette e ciò gli causò l’ingiusta accusa: l’insidia sensuale della moglie del padrone Potifar che ci aveva sfacciatamente “provato” con l’aitante servo e che si vendicò accusando di essere lui ad averci provato con lei… «La tentazione sessuale, quella che ci mette dinanzi alla sacralità del nostro corpo che è un profeta»: l’erotismo, spiega il sacerdote, è un dono di Dio, «che però ha due difetti: egoismo e infedeltà. Difetti che l’hanno vinta a meno che dall’alto non giunga l’altro dono di Dio: l’agàpe», l’amore che non è solo erotismo.
Del resto Dio ci ha creati buoni, ma «ognuno di noi ha un avversario: perché insieme alla creazione visibile ha creato gli angeli e tra loro ci sono quelli che nella loro libertà si sono ribellati al Creatore, ci sono i diaboloi, i divisori, che ci vogliono dividere da lui». Eppure Dio «ci stima lo stesso, ci ama nonostante il peccato»: questa la grande, bella notizia da gridare forte!
Si deve aver fiducia in colui che ha vinto il peccato, che se l’è addossato. Ma «non restate nel peccato, perché il peccato è una m…» dice per andare dritto al cuore dei giovani don Gianvito: «se resti nel peccato sarai sempre solo, triste, insoddisfatto». Perché «un conto è essere peccatori, un conto essere corrotti, come ha detto bene papa Francesco: la differenza tra peccatore e corrotto è che il peccatore riconosce il suo peccato e non vuole restarci, il corrotto trova scuse con se stesso per negare di starci o si giustifica con “che male c’è?” e “fanno tutti così!”: questo è diabolico!».
La buona notizia del cristianesimo è proprio questa: «che Cristo ascolta la nostra solitudine e ci dice di consegnare a lui i nostri peccati, perché possa prenderli su di sé e vincerli». Il festival francescano – che tra le sue tante iniziative comprende anche le confessioni di strada: in piazza San Francesco c’è sempre un frate confessore pronto ad amministrare il sacramento della Riconciliazione – può essere una buona occasione anche per ricordarsi di questo.